Oggi in questi “3 minuti di letteratura” intraprenderemo una strada diversa dal solito. Non faremo due chiacchere su un autore o su un’opera letteraria nello specifico, ma andremo ad indagare le caratteristiche peculiari del genere poetico.
I versi (poetici) e la prosa

La differenza più evidente tra un componimento poetico e un romanzo, per citare un esempio, è la forma d’espressione linguistica: i versi e la prosa.
La prosa è caratterizzata dalla continuità dei periodi sintattici, come ci suggerisce la stessa etimologia latina “prosa oratio” ossia discorso che procede per tutta la riga. Essa non è sottoposta a vincoli metrici e ritmici. La separazione tra una riga e l’altra, quindi, è essenzialmente concettuale.
Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, bastava che alzasse un po’ la testa per vedersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da solchi arcuati; in cima al ventre la coperta, sul punto di scivolare per terra, si reggeva a malapena. Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante.
Estratto da La Metamorfosi, Franz Kafka
La forma d’espressione linguistica della poesia sono i versi. Essi sono soggetti a regole metriche e ritmiche che influiscono sull’andamento del componimento su tutti i livelli linguistici. Altro elemento fondante del verso è l’ordine sintattico che potremmo definire marcato. Esso non risponde, infatti, al naturale SVO, soggetto-verbo-oggetto.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
Estratto de L’infinito di Giacomo Leopardi
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura.
Denotazione e connotazione in poesia

Le parole che, giornalmente, usiamo per esprimerci si articolano su due livelli: il significante ossia la forma grafico-fonetica della parola stessa e il significato cioè l’immagine che evoca nella nostra mente.
Il significato primario o letterale di un termine è detto connotativo.
Prendiamo come esempio una strofa di “Alla sera” di Ugo Foscolo:
Forse perché della fatal quïete
Tu sei l’immago a me sì cara, vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni
Su un piano letterale il termine “sera” indica la parte finale di una giornata, ma se dovessimo spingerci oltre, leggendo tutto il componimento, comprenderemmo che questo sostantivo indica la morte. Essa è vista, appunto, come il punto finale della vita. E’ proprio quest’ultima sfumatura di significato a rappresentare la denotazione nel componimento.
Poesia e figure retoriche
La poesia gioca abbondantemente sulla connessione che si instaura tra denotazione e connotazione. Essa apre le strade a significati sempre nuovi come se fosse una matrioska. Su cosa si regge questo gioco? Sulle figure retoriche. Esse sono degli artefici linguistici che vengono usate con il fine di di modificare, o meglio creare, un particolare effetto sonoro o semantico. Esse giustificano lo “scarto” che abita lo spazio tra il significato letterale e quello connotativo.
Vi lascio, di seguito, uno schema di Filodidattica che riassume le tipologie delle figure retoriche.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
In questa strofa della poesia “X Agosto” di Giovanni Pascoli possiamo notare l’uso di una figura retorica di significato nella parola evidenziata in grassetto. La sineddoche consiste nell’indicare il tutto con una parte: la casa, infatti, è indicata con il sostantivo “tetto”.
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell’alta società.
In questo strofa di componimento di Eugenio Montale: “Non ho mai capito se io fossi” è presente un’onomatopea, figura retorica di suono che riproduce il suono “stereotipato” che noi associamo a un oggetto o ad un soggetto. In questo specifico caso, infatti, il blabla rievoca il chiacchiericcio tra persone.
S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo;
S’i’ fosse foco, Cecco Angiolieri
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;
Il terzo esempio vede protagonista una figura retorica sintattica: l’anafora che consiste nella ripetizione consecutiva di interi versi o parole con lo scopo di rafforzare l’immagine.
Il vincolo interpretativo

Tra emittente e destinatario di un testo si instaura un patto comunicativo che influisce sulla struttura superficiale e profonda dell’oggetto testuale. L’elemento base di questo accordo è il vincolo interpretativo ossia la maggiore o minore libertà che l’emittente lascia al destinatario nell’interpretazione di un testo.
I testi tecnici (es: istruzioni per l’uso) o i testi regolativi( es: articoli del Codice Stradale) sono testi molto vincolanti che non lasciano, quindi, spazio per l’interpretazione. Essi sono caratterizzati da strutture linguistiche che esprimono obbligo:
Non si possono guidare ciclomotori, motocicli, tricicli, quadricicli e autoveicoli senza aver conseguito la patente di guida ed, ove richieste, le abilitazioni professionali. Tali documenti sono rilasciati dal competente ufficio del Dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi e statistici a soggetti che hanno la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 118-bis.
Articolo 116, comma 1 del Codice Stradale
Sono mediamente vincolanti i testi informativi ed espositivi (articoli giornalistici). Essi offrono una tesi, ma non così rigida come nel primo caso.
I testi narrativi e poetici sono poco vincolanti. Essi nascono, infatti, come espressione della soggettività dell’autore che lascia libera(o quasi) interpretazione al lettore.
Dammi la tua mano…
Dammi la tua mano, Leo Delibes
Vedi?
Adesso tutto pesa la metà
Di Costanza Maugeri
Fonti: Università di Trieste, Enciclopedia Treccani, Zanichelli, Filodidattica