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Siccità (2022): Candidato a 4 David di Donatello

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Siccità è un film corale e distopico ambientato nella Roma di un prossimo futuro. Presentato fuori concorso alla 79a Mostra del Cinema di Venezia. Il regista Paolo Virzì racconta si essersi ispirato all’epidemia di Covid-19 e alla attuale situazione climatica globale.

Il film candidato a quattro David di Donatello e con 1,8 milioni di incassi è un’assaggio di quello che sarà in seguito alla crisi climatica. Un prodotto insolito per una produzione italiana, dotato di un’impronta molto più americana, ricorda infatti gli scenari apocalittici di Don’t look Up.

Uno scorcio nell’imminente futuro

A Roma non piove da tre anni e la mancanza d’acqua stravolge regole e abitudini. Nella città che muore di sete e di divieti si muove un coro di personaggi, giovani e vecchi, emarginati e di successo, vittime e approfittatori. Le loro esistenze sono legate in un unico disegno, mentre cercano ognuno la propria redenzione.

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Scena dal film Siccità

Queste sono le premesse del nuovo film di Virzì, una commedia corale che si macchia di toni drammatici e distopici, scritta a otto mani con Paolo Giordano, Francesca Archibughi e Francesco Piccolo. I recenti avvenimenti dovuti alla pandemia di Covid-19 fanno da eco alle vicende narrate, una trasposizione dell’esperienza collettiva, rielaborata in una chiave apocalittica e futuristica.

Le scene suggestive di una città assetata, infestata da blatte e del Tevere completamente prosciugato si mescolano a quelle di reparti ospedalieri pieni di pazienti epidemici.

La fotografia di Luca Bigazzi è minuziosa e importante – forse il punto di forza dell’intero film – si tinge di una tonalità calda ad evidenziare e marcare il caldo e l’aridità di una Roma in ginocchio. Il montaggio del film sfiora la narrazione ad episodi che purtroppo non funziona, rende infatti il film abbastanza caotico.

Siccità racconta di un’umanità disincantata

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Scena tratta da Siccità

Virzì usa l’umorismo per raccontare il dramma della disperazione umana. Un film metafora di una società assopita e incattivita, vittima delle proprie scelte, irresponsabile e infelice, una società che preferisce aggredire e invidiare il prossimo anziché affrontare alla propria miseria.

I personaggi seppur ben caratterizzati sono poco funzionali all’interno di uno script lento e che sembra mancare il punto per tutto il film. Ogni storia procede per poi confluire in un’intreccio molto più grande. La pellicola sembra avvolta anch’essa in una bolla soporifera come i suoi protagonisti. Durante le oltre due ore vediamo legami crearsi e distruggersi e la società divisa tra chi, priva di risorse, fatica anche per un solo sorso d’acqua e chi, grazie al Dio denaro, ne spreca e abusa in modo egoistico.

Una regia serrata e dinamica, degne di nota sono le denunce che vengono fatte all’interno del film, da cogliere come un suggerimento per non andare incontro ad un futuro quasi certo, come l’utilizzo dell’acqua di mare desalinizzata.

I forti temi trattati, in alcuni momenti lasciando il tempo che trovano, seppur fondamenta stabili dell’intera pellicola.

In conclusione

Non è un film che mi ha entusiasmata. Il tono monocorde di tutto il film, l’andamento quasi ad episodi e questo costante senso di mancata concretezza non sono riusciti a farmi apprezzare la pellicola. Nonostante il cast importante, ho trovato Claudia Pandolfi asettica e monotona, a differenza di Emanuela Fanelli che con il suo personaggio ha regalato alla pellicola una nota carismatica. Un film con delle belle basi e grandi premesse, ma con uno sviluppo non dei migliori. Lo consiglio soltanto per i temi importanti.

Scritto da Nina D’Amato


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