SaturDie Ep.21 – Caso Bebawi: l’omicidio della Dolce Vita

Cronache di vita e di morte del giovane più appetibile di Roma

di Gaia Vetrano
29 Min.

Tutte le strade portano a Roma, comprese quelle del crime italiano. Alla Capitale degli anni 60’, con uno dei casi più misteriosi e interessanti del secolo scorso. Parliamo della storia dei Bebawi. Ma per farlo, facciamo un passo indietro.

La Dolce Vita” è un film degli anni 60’ diretto da Federico Fellini. Una pellicola che ha cambiato per sempre la storia e l’industria italiana, riuscito a diventare protagonista del tessuto sociale e culturale italiano, e non solo.

Quante volte ne avete sentito parlare? Eppure, al centro delle discussioni non vi è mai la realizzazione della pellicola, la Fontana di Trevi, o gli aneddoti riguardanti Marcello Mastroianni e la tuta da sub che indossava sotto lo smoking. Ma del cambiamento epocale che è riuscito a generare. Nel caso in cui vogliate prima saperne di più sulla trama e sul perchè dovreste vederlo, ecco qui il link.

Se per la Milano bene è immorale, troppo lungo e “romanesco”, per i cittadini della Capitale tutt’altro. Fellini tratteggia un ritratto di vita romana, frivola e – apparentemente priva di senso. Eppure, dietro alla patina sfavillante della bella vita romana, la cosiddetta Hollywood sul Tevere, si celano delle metafore potentissime.

Marcello Mastroianni e Anita Ekberg in una scena del film "la Dolce Vita". Da questo prende nome l'omicidio compiuto dai Bebawi
Marcello Mastroianni e Anita Ekberg in una scena del film

Si parla soprattutto della spasmodica ricerca, da parte del protagonista, dell’innocenza. I membri dei ranghi più alti della società, ottemperati dal lusso e dallo sfarzo, perdono il contatto con la natura. Un mondo tanto perfetto, visto da fuori, ma malato. Una realtà desolante che loro stessi hanno contribuito a creare.

Roma splendente e struggente, festaiola e divina. Una città che dona amori, tradimenti, lavoro e perdizione. Chiunque viene inghiottito da un vortice di bellezza e di bramosia, di danze e di cultura, di apparizioni e mondi onirici. Dove donne e uomini si incontrano, parlano, si divertono, si amano.

Gli incontri, le amicizie, i rapporti più o meno passeggeri servono a dare il senso a questa vita che aspira ad essere dolce e circolare. Un’esistenza fatta di incontri che non portano mai un reale impegno. Solo a qualche ora di passione destinata a terminare.

Di festa in festa, di donna in donna, Marcello continuerà a essere insoddisfatto del suo presente, inebetito da tutto il bello che gli sta intorno, non riuscendo a capire quale strada realmente prendere per il suo futuro. Bloccato in un crocevia di eventi, mollemente adagiato e senza aspirazioni.

La Roma dei primi anni Sessanta è perfettamente raffigurata da questa pellicola.

Consideriamo ora il nostro Marcello. Ogni sua azione è dominata dalla volontà. Una volontà talvolta cieca e irrazionale, che porta all’inganno. Tramite questa ci concediamo all’errore e ai vizi. Mossi in questo turbine di cecità nei confronti della ragione, erriamo senza una meta, evitando la verità.

Questa irrazionalità domina la storia che vi stiamo per raccontare. Il racconto passionale di una donna sposata ma che desidera carnalmente un altro uomo, non riuscendo però a non amare suo marito. Cercando inoltre di preservare la sua posizione di rilievo sociale.

La vicenda di un marito che vuole proteggere la sua donna dai pregiudizi della società, ma anche il suo onore.

E infine la parabola di un giovane playboy, che consuma la sua esistenza con molte donne, ma che finirà per spegnersi. Una fiamma che brucia fino a estinguersi.

La storia di come siano tutti diventati vittime di una pulsione irrazionale. Mossi sotto la supervisione di un’unica Entità: la Morte.

Adesso mettetevi comodi, perché questo non è un film, ma il nostro racconto del caso Bebawi.

Roma, città nel quale si svolge il caso Bebawi

Tutto comincia da Via Veneto. Nella Roma di Fellini, delle star, degli artisti, della poesia e del canto. È un lunedì mattina illuminato da un sole che si affaccia incerto sulle luminarie dei locali alla moda appena chiusi. L’atmosfera notturna di ebrezza sembra essere un lontano ricordo.

Lungo le strade camminano di giorno impiegati e cassiere, tassisti e netturbini. Le semplici comparse hanno ripreso possesso delle vie urbane. È lunedì 18 gennaio 1964 quando una donna sulla quarantina, dall’incarnato scuro e i tratti nordafricani affretta il passo. Sta svoltando di fretta, mentre i tacchi ticchettano per la strada, su Via Lazio.

Di fretta passa davanti a una Mercedes nera, il cui muso sporge sul marciapiede. E’ quella del suo capo, che da due giorni è sparito senza dare notizie. La donna si chiama Karin Arbib e lavora come segretaria. E’ una persona rigida e inflessibile, e dalla vita lussuriosa del suo titolare è sempre interdetta.

Poco le importa se questo figlio di papà si diverte a delapidare il suo patrimonio. Ciò che la indispettisce maggiormente è il poco rispetto che questo prova nei suoi confronti. D’altra parte, lei si impegna particolarmente alla Tricotex, azienda che si occupa di Import ed Export Tessile.

Dopo aver salutato il portiere, Karin arriva al suo ufficio, che si trova nel terso piano del numero civico 9 di Via Lazio. Con passo nervoso, dopo aver posato il suo cappotto, comincia a dare un’occhiata in giro.

Poi fa qualche passo, percorre un corridoio, gira l’angolo, attraversa una stanza, fino a quella del principale. Sulla sua scrivania un soprabito scuro. Poi vede gli occhiali da vista poggiati sul tavolo, ma dell’uomo non vi è traccia.

La Arbib è così infastidita da non rendersi immediatamente conto di cosa si trovi a terra, poco distante da lei. Poco sotto la finestra c’è qualcosa da far raggelare il sangue nelle vene. È il corpo di un uomo, rannicchiato al suolo.

La figura getta un grido immenso: in quell’ombra, confusa col pavimento, c’è quello che un tempo era stato il suo principale. Il signor Farouk Chourbagi. Corre via.

Il giallo di Via Lazio 9 è appena cominciato.

Farouk Chourbagi, cronache di vita e di morte dello scapolo più appetibile di Roma

Per le strade di Roma le voci corrono in fretta. Appena le volanti della Polizia arrivano sul luogo, tutti cominciano a chiedersi cosa sia successo. Qualche strillone comincia già a far pubblicità all’edizione del quotidiano locale del giorno, che in prima pagina riporta:

Pagina di giornale riguardo il caso Bebawi

“Egiziano ucciso in via Veneto!”

Quando il medico legale rivolta su sé stesso il corpo cominciano ad affievolire alcuni dettagli.

L’uomo è stato ucciso da quattro pallottole. La prima alla schiena. Caduto al suolo, l’assassino lo ha terminato con tre colpi, tutti alla testa. La pistola è certamente di piccolo calibro, una 7.65.

Inoltre, dalle continue osservazioni al quale il corpo è sottoposto, non sfuggono alcuni dettagli. Il volto, ormai irriconoscibile, non può essere stato deturpato solo dalle pallottole. Qualcuno lo ha voluto sfigurare.

Quelle sono delle ustioni, sulla parte sinistra del volto.

Il capo della Mobile, Nicola Scirè, rimane colpito da questo dettaglio.

«Sì e guardi queste scolature, le vede? Queste, che arrivano fino al collo. Direi che è vetriolo».

Ma chi è che oltre che uccidere un uomo vorrebbe anche sfigurarlo da vivo? Cosa avrebbe fatto Farouk Chourbagi per meritarsi questa fine?

Il giovane, miliardario di origini egiziane e passaporto libanese, aveva solo ventisette anni e alle spalle, oltre al denaro, una lunga lista di frequentazioni andate a finire – qualcuna bene qualcuna un po’ meno – con donne della Roma Bene. Parliamo di aspiranti attrici, eleganti subrette, e nobildonne.

Farouk Chourbagi, vittima del caso Bebawi

Tra quegli ambienti Farouk era molto conosciuto. Non solo per la sua consistenza del suo portafogli, o perché fosse nipote di un ex ministro del Tesoro egiziano. Tanto ricco da permettersi di poter studiare a Oxford e conservare più di una Mercedes nel garage.

Con un curriculum del genere era salito in cima alla lista degli scapoli più appetibili di Roma.

Nella Capitale se la passava bene: locali notturni, molte amicizie e feste. Un ragazzo molto educato, un perfetto partito, in grado di trasmettere sicurezza e una solida posizione. Oltre alla bellezza che lo contraddistingueva.

E se in vita il suo nome stava sulle bocche di tutte le donne della Roma Bene, anche in seguito al suo decesso non si smise mica di parlarne.

Galeotta fu la porta

Le prime indagini chiariscono le tempistiche del delitto. Alle 17.20 un vicino di casa aveva visto Farouk lasciare il suo appartamento in Via Savastano 7.

Era uscito di fretta, senza indossare il completo che la cameriera gli aveva lasciato sul letto, e che avrebbe dovuto indossare quella sera per una festa all’ambasciata.

Alle 17.30 Ercole Cesarini, gestore di una bomba di benzina, aveva visto la Mercedes di Farouk fermarsi malamente davanti alla Tricotex, così come Karin l’aveva lasciata. Poco dopo l’avrebbe visto Aldo Simoni, il portiere dell’edificio.

I tabulati telefonici riportano poi una chiamata alle 17.40 di Elisabetta Tizei, vecchia fidanzata di Farouk. Questa avrebbe trovato il telefono occupato.

Arriviamo alle 18.15, orario al quale, secondo i racconti di Isabella Luparelli, inquilina dell’appartamento sottostante gli uffici della Tricotex, si sarebbero sentite delle grida provenienti dal piano di sopra e poi un tonfo.

Un quarto d’ora dopo viene riportata una seconda telefonata, sempre da parte di Elisabetta. Il telefono suona a vuoto: nessuno risponde.

Per gli inquirenti questi eventi sono sufficienti a indicare l’orario del delitto: qualcuno tra le 18:00 e le 18:30 è entrato negli uffici della Tricotex uccidendo Farouk.

Definito l’orario del delitto, la squadra Mobile si pone un quesito. Da dove è uscito il killer? La risposta è molto più semplice di quanto sembri: dalla porta d’ingresso degli uffici dell’azienda. Lo fece semplicemente tirandosi dietro il chiavistello.

In sintesi, l’assassino non era in possesso delle chiavi.

Ciò che però non tutti sono a conoscenza è un particolare meccanismo della porta. Una cordicella collega, infatti, il chiavistello principale al pianerottolo. Scendendo al piano di sotto basta tirare la fune per chiudere gli uffici, senza usare le chiavi.

Quando la Polizia andò a controllare, notò che la corda era stata tirata. Quindi, il killer, pur non essendo in possesso delle chiavi, conosceva questo particolare trucco. Doveva essere qualcuno che Farouk conosceva e di cui si fidava particolarmente. Al punto di svelargli un modo alternativo per aprire la porta della sua azienda.

Chi potrebbe essere l’assassino? Cosa ci avrebbe guadagnato dalla morte di Chourbagi?

La vendetta di Claire Bebawi

Gli inquirenti cominciarono interrogando i parenti della vittima.

Vi erano molte domande delle quali cercavano una risposta. Prima di tutto le dinamiche dell’omicidio erano confusionarie.

Un primo dettaglio interessante riguarda l’autopsia. Il medico legale al termine di questa riesce a individuare ben cinque fori nel corpo della vittima. Due di questi sulla schiena. Ciò vuol dire che, dei quattro bossoli rinvenuti sulla scena del crimine, ne manca uno, attribuibile al quinto colpo esploso dalla pistola.

Tra queste, una riguarda il vetriolo. Quando questo venne usato per sfigurare il volto di Farouk, l’uomo era già morto. Essendo questa un’arma femminile, portò gli inquirenti a chiedersi se vi fossero delle donne che potessero guadagnarci dalla morte di Farouk.

Poteva trattarsi di una vendetta da parte di un’amante delusa?

Stando alle voci, però, Chourbagi aveva dozzine di amanti. Eppure, bastò chiedere allo zio per avere un nome: Claire Bebawi.

Claire Bebawi

Una donna sposata, anch’essa di origine egiziana, con interessi nel settore tessile. Lei e suo marito Joseph, cittadini di Losanna, si trovavano a Roma il giorno dell’omicidio, poi erano immediatamente partiti verso Napoli. Da lì a Brindisi e poi ad Atene.

Ma su questo Mounir Chourbagi non ha dubbi: Claire è la colpevole. Con Farouk ha avuto una relazione tempestosa e irrazionale. La donna viene descritta come una piovra, perché si era avvinghiata all’uomo perché ossessionata da lui e dal tipo di vita che le aveva fatto condurre.

L’ultima volta che Karin aveva visto Farouk a lavoro, aveva raccontato la segretaria, i due avevano litigato al telefono. Una discussione furiosa. La donna non aveva chiaro cosa si fossero detti, ma terminata la conversazione, Chourbagi era venuto da lei e le aveva detto di non passargli più telefonate da parte di Claire.

Poco prima di chiudere, Farouk: «Io non posso sposarti, non posso! Dimmi tu cosa devo fare!»

Così, la sera del 21 gennaio 1964, gli uomini della Interpol irrompono nella camera d’albergo 819 dell’hotel Esperia di Atene, per interrogare i coniugi Bebawi.

Nessuno avrebbe mai immaginato gli intrecci dietro tale storia.

Lei è la nuova Circe. Lui un Otello mediorientale.

Storia di un amore tutt’altro che banale

Il Cairo, terminati gli anni 30, si sta affacciando da un passato poco facile all’Occidente.

Sulle sue strade circolano da poco le carrozze, simili a quelle francesi e inglesi, dei più ricchi. Aprono sempre nuovi negosi e attiività. La città si appresta a diventare una metropoli.

Il 30 giugno 1928 nasce Gabrielle, detta Claire, da una madre olandese e di origini polacche e un padre egiziano. La bimba vive un’infanzia serena. La mamma si occupa della sua educazione, raccontandole gli usi e i costumi europei più comuni, mentre il padre si occupa del progetto più ambizioso degli ultimi anni: il canale di Suez.

Foto del canale di Suez

L’ambiente raffinato e benestante della nascente borghesia la allontanava dai suoi coetanei, così Claire viene vista come una privilegiata. Eppure, il suo ruolo sociale non le consente di avere accesso alla corte. Ma sognare non è proibito a nessuno.

Così, nel 1947, si sposa con un promettente imprenditore dell’industria tessile. Questo è Joussef Bebawi, ha ventidue anni ed è nato in una cittadina del sud. Quell’uomo è la porta d’accesso a una vita di agi e lussi. I due si conoscono a pena, ma Claire spera sia il primo capitolo di una fiaba.

I primi anni sono positivi. Alla fine della guerra l’Europa, in fase di ripresa, aumenta i propri contatti con l’Oriente, fornendo all’Egitto l’opportunità di fare affari. Tra questi anche la famiglia di Joussef, che non si tira indietro davanti alla possibilità di aumentare il proprio patrimonio. Anche se questo richiede essere disposti a spostarsi continuamente.

Come Luna di Miele i due neosposi vanno in Libano, poi in Europa. Quando Claire rimane incinta nel ’49 si stabiliscono a Losanna. Gli anni passano e, prima nel ’51 e poi nel ’53 avranno altri due figli. Ma tutto questo è destinato a finire.

Nel 1960, Claire è una donna che ne ha abbastanza di essere solo una madre.

Joussef è consapevole di trascurare la moglie, per cui prova un amore che tende quasi all’adorazione. Quando i due si guardano, lui prova un tale desiderio. Il signor Bebawi ben sa che la sua compagna è nel pieno della sua giovinezza e che, quando scruta gli altri uomini, sono anche loro bramosi di averla.

Più lei sfugge, più Jousef si domanda come abbia fatto a meritarsi una donna così attraente, più Claire continua a rimpiangere il giorno in cui ha accettato di sposare un uomo che nient’altro riesce a fare se non fissarla.

Nella primavera del 1960 succede qualcosa in grado di distruggere la gabbia nella quale la signora Bebawi si sente in trappola.

Joussef ha infatti un incontro di lavoro con un certo Mounir Chourbagi. I due si incontrano in un caffè al centro di Ginevra. Ai tavoli è seduta metà dell’aristocrazia svizzera. Ai coniugi Bebawi, durante quell’incantevole pomeriggio, viene proprio presentato Farouk.

Il giovane fa ovviamente una bella impressione. Ha un fascino europeo, che traspare dalla scelta del bel completo, ma tratti mediorientali.

Il giovane Chourbagi e la bella Claire si sorridono. È già colpo di fulmine: nessuno dei due riesce a distogliere lo sguardo dall’altro.

Alla fine dell’incontro, Mounir e Joussef si danno appuntamento per il giorno dopo, ma Claire non è d’accordo. I due coniugi Bebawi avevano infatti in programma una vacanza a Parigi, e il volo era proprio il giorno dopo. Farouk non si tira indietro: anche lui il giorno dopo deve partire verso la capitale francese.

Per Joussef è un piano perfetto. Il nipote di Mounir si occuperà di sua moglie in quei giorni di distanza, in modo da dedicarsi tutto il tempo agli affari.

Dodici ore dopo, Farouk e Claire hanno concluso la loro prima notte di passione assieme. Il giovane Chourbagi, il giorno dopo il loro primo incontro, le giura amore eterno. La bellezza di quella donna le aveva rapito il cuore. Promette che mai la lascerà o tradirà.

Quella permanenza a Parigi fa capire a Claire come, nonostante gli undici anni di scarto tra i due, la sua vita sia ancora degna di essere vissuta. Farouk è però ignaro della grande differenza di età: la donna fa infatti finta di avere ventotto anni.

Di Farouk vi abbiamo già parlato. Era un ottimo partito. Un economista ricco e affabile, con poca voglia di mettersi in gioco.

L’amore che prova per Claire diventa il suo pensiero principale. I due danno il via a una relazione travolgente e, ogni qual volta gli è consentito, riescono sempre a incontrarsi. Quando lei chiama, lui risponde. Quando lei è a Roma, lui la segue. La donna lo ama, ma sa che tra loro due è solo un gioco.

Lo desidera ma al tempo stesso lo respinge. Si diverte con lui, e con il suo denaro, e poi lo allontana. È un giocattolo tra le sue mani.

Quando Farouk le chiede di sposarlo, lei si rifiuta. Sa già che Joussef lo avrebbe voluto morto. D’altro canto, questo già sospetta che Claire si sia allontanata per un motivo.

A confermare i suoi sospetti è un suo amico, che gli confessa di aver visto la donna e Farouk assieme. Rientrato a casa, scoperto il tradimento, il signor Bebawi scaraventa la moglie a terra. Le dà della svergognata e della donna senza pudore. Claire gli dà della nullità e lo schiaffeggia.

Tra i coniugi cala il gelo. Continuano a vivere sotto lo stesso tetto e a fingere di sopportarsi, essendo il divorzio un’opzione non praticabile. Finché non trova la soluzione: il 20 febbraio 1963 Joussef comunica a Claire la sua intenzione di cacciarla di casa. Inoltre, scrive a Farouk quanto sia disgustosa relazione tra una donna sposata e un giovane undici anni più piccolo.

A marzo, Joussef Bebawi ripudia ufficialmente Claire. La donna è spacciata. Ora è lei che deve esortare Farouk, che le aveva giurato amore eterno e le aveva chiesto la mano. L’uomo, trasferitosi a Roma, era entrato nei circoli che contano. Conquista finalmente il titolo di playboy con cui lo abbiamo conosciuto.

Patrizia De Blanck

La donna è sempre più gelosa, sempre più ossessiva. Lo accusa di avergli rovinato la vita. Dopo una serie di missive, i due smettono di vedersi fino a ottobre. Claire viene infatti invitata a Roma da Farouk, ma i due litigano, finendo per separarsi nonostante siano entrambi nella stessa città.

Ciò che Claire gli ripete è che non ha il coraggio di sposarla. Farouk non crede di poter mantenere la promessa: sente di star legando sempre di più con un’altra donna, Patrizia De Blanck, mecenate della Roma bene e figlia di un ambasciatore.

Alla fine del 1963, i coniugi Bebawi sono nuovamente assieme. Farouk continua a respingerla, perché troppo innamorato di Patrizia. Claire non ha molte alternative, se non tornare con Joseph, che le giura di essere disposto a tutto pur di stare con lei.

Due uomini che non riescono ad allontanarsi dalla stessa donna. Entrambi disposti a tutti per lei. Persino a compiere i gesti più irrazionali.

Il 17 gennaio 1964 Claire telefona a Farouk e chiaro e tondo gli chiede se vuole ancora sposarla. Lui le risponde in maniera secca che non può più mantenere la parola data. Ventiquattro ore dopo i coniugi Bebawi atterrano a Roma armati di pistola.

Con sé hanno anche un flacone di acido solforico, acquistato dalla drogheria sotto casa, da Georgette, in Avenue Rumine 3. A confermare ciò vi è anche il commesso Daniel Viret, un ragazzo dal sorriso contagioso, pulito, con il ciuffo sulla fronte.

A Roma i Bebawi alloggiano nell’hotel Residenza, dove rimarranno per poco. Claire chiama nuovamente Farouk, ma stavolta a casa.

Alla stessa ora i cui Chourbagi abbandona la sua abitazione per recarsi alla Tricotex, anche i due escono. Ciò che avvenne dopo divenne materia di sei diversi processi.

Probabilmente Claire e Joussef avranno raggiunto Farouk nel suo ufficio. Questo è sollevato di vederli assieme, nonostante lo insultino pesantemente. I tre cominciano a litigare, finché non viene tirata fuori la pistola. Un corpo alla schiena, tre alla testa. Poi, l’acido rovesciato sul volto, che finisce anche sulle mani e sul volto della donna.

I due, fuggiti a Roma, arrivano ad Atene. Qui comprano un unguento per le scottature, che però non useranno. L’inviato della Polizia italiana noterà subito le escoriazioni sulle mani di Claire.

Il processo

Il processo è seguito da tutto il paese.

Joussef è difeso da Giuliano Vassalli, futuro Ministro di Grazia e Giustizia. Claire da Giovanni Leone, prossimo Presidente della Repubblica.

I due coniugi si accusano a vicenda del diritto, costituendo un tale groviglio di dichiarazioni contrastanti da non permettere alla corte di stabilire la verità dei fatti.

I giudici sapevano per certo che uno dei due, o forse entrambi, erano gli assassini, ma furono costretti a emettere una sentenza, quella di primo grado, che è tutt’oggi esempio di imparzialità giuridica e morale.

Davanti all’impossibilità di stabilire con certezza chi fosse l’assassino vengono liberati entrambi gli imputati.

Così si conclude la prima udienza, quella del 1966. Ci sono voluti poi dieci anni per avere un verdetto definitivo.

Nel 1974 la Cassazione conferma la sentenza di appello che nel 1968 condannava entrambi a ventidue anni di carcere per omicidio volontario. Eppure, gli anni di prigione non li sconteranno mai. Entrambi lasceranno il paese andando in Egitto lei, in Svizzera lui. Nazioni dove non esisteva l’estradizione.

Con un ennesimo colpo di scena, Giovanni Leone lascia delle dichiarazioni qualche mese dopo riguardo il caso. Stando alle sue parole, una sua alunna era riuscita a parlare con il precedente avvocato della Bebawi, che lavorava ad Atene. Questo le aveva raccontato che Claire si era rivolta a lui per il processo in quanto colpevole dell’omicidio di Farouk.

Il professore Leone, venuto a sapere dalla sua alunna quanto questa avesse appreso dal caso Bebawi, dichiarò fosse necessaria una nuova sentenza.

In seguito alla fine delle indagini, Patrizia De Blanck si sposerà con Giuseppe Drommi, primo marito di anna Falarino, vittima del delitto Casati Stampa. Youssef troverà l’amore con la sua donna di servizio Henke.

Di Claire Bebawi si sono perse le tracce. Una Circe che non verrà mai punita.

Scritto da Gaia Vetrano


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