Se solo le pareti sapessero parlare, quest’oggi avremmo la risposta a uno dei più grandi quesiti del crime italiano: Rosa e Olindo sono davvero i colpevoli della strage di Erba?
Sono le 10 di mattina del 17 aprile. Uno di quei giorni normali, che quasi definiremmo come noiosi.
Erba non è Chicago, e neanche Milano. Semplicemente un normale comune in provincia di Como, che s’innalza sulle Prealpi lombarde, circondata da ville. C’è chi dice addirittura che la Brianza occidentale non abbia terra più graziosa di questa.
Effettivamente si tratta di un gioiello formato da vari borghi, ricchi di chiese e pure un castello.
Ma se c’è una cosa che voi, miei cari lettori, avete capito, leggendo i nostri racconti, è che non bisogna mai sottovalutare le cittadine più silenziose. Quelle meno conosciute, di cui si parla poco e che, molto spesso, vengono dimenticate. Perché è proprio da questi angoli bui, che nascono le più grandi storie.
Erba è solo la cornice dove agiscono un uomo e una donna. O almeno, così si crede.
È un giorno qualunque. Il presupposto della noia viene però subito derubricato. Sì, perché il telefono del nostro protagonista sta squillando da almeno un minuto. Non è l’amministratore di condominio, o l’operatore telefonico pronto a proporgli un’offerta vantaggiosa.
«Ce l’abbiamo fatta, depositeranno l’istanza di revisione». Il nostro protagonista è Cuno Tarfusser, procuratore generale di Milano, ex giudice della Corte Penale Internazionale.
L’uomo sospira dall’altra parte della cornetta. Ma per capire per quale motivo in questi giorni non si stia parlando di altro, dobbiamo fare un passo indietro.

Dalla storia di Olindo e Rosa la città di Erba è da subito rimasta colpita. Quando si respira l’aria del Natale, ci sentiamo tutti un po’ più buoni, disposti ad aiutare gli altri. Eppure, quando si avvicina la stagione natalizia, i cittadini di Como non possono che non pensare a quel lontano dicembre del 2006. Per qualche giorno, risale la malinconia, la paura, e l’orrore.
11 dicembre 2006. Nel cuore operoso della Brianza, il Natale è un momento di pausa dalle solite giornate passate in industria, o in banca. Il denaro circola senza problemi per le banali 17 mila anime che la popolano. Erba ha però dei segreti che, da manuale, si nascondono dietro le mura delle villette.

L’11 dicembre 2006 tre famiglie di Erba intersecano i loro cammini. Era una sera come tante, che si trasforma in quella che sembra essere una tragica fatalità.
Un incrocio di sguardi che però non riesce a fornirci la reale identità del colpevole degli eventi che vi stiamo per narrare. Una semplice notte che diventa l’inizio di un incubo.
È lunedì e, in questo angolo di Brianza, sono appena passate le nove di sera. È già tutto buio: tutti sono rintanati nelle loro case. Le strade sono fatte di silenzio e di gelo. D’altro canto, ci troviamo in quella che viene descritta come “La metropoli infinita”. Un distretto triste, fatto di gente chiusa e che parla poco.
Quella sera in via Armando Diaz sta succedendo qualcosa di cui difficilmente si potrà far finta di niente.
Un condominio come gli altri, ma dalle cui finestra fuoriesce molto fumo. Quelli che vi abitano vicino notano anche la porta del piano terra aperta.
Un incendio divampa sempre di più, il fuoco divora le pareti della casa. È necessario chiamare i Vigili del Fuoco. Tra questi c’è Glauco Bartesaghi, che riesce addirittura a entrare dentro. Sale le rampe delle scale, fino a quando sull’ingresso non vede una persona.

È un uomo, sdraiato sulla rampa, che respira a stento. Non a causa del fumo che pervade il locale, ma perché sta perdendo sangue. Molto sangue. Che gli macchia i vestiti, il volto. Si chiama Mario Frigerio, ha 65 anni ed è uno dei condomini dell’edificio. Abita al piano di sopra.
Qualche ora prima, il signor Frigerio stava tranquillamente guardando la televisione, mentre la moglie, Valeria Cherubini, era pronta a portare fuori il cane. Perché Mario si trova ora lì, per terra, riverso sul pianerottolo dell’edificio?
Frigerio va salvato immediatamente. Ma cos’è successo in quella casa?
In fondo, Valeria era solo uscita a fare una passeggiata, mentre al piano di sotto gli altri condomini stavano cenando tranquillamente. Insomma, niente di strano. Se non fosse per le urla che provengono dall’appartamento di Raffaella Castagna, al piano di sotto. Ma loro agli schiamazzi sono abituati. Questa e il suo compagno, Azouz Marzouk, litigano spesso.
Quando la Cherubini rientra nel condominio di via Armando Diaz, sappiamo tutti quanti cosa succede dopo.
Qualcuno fuoriesce dall’appartamento di Raffaella, seguito da una coltre di fumo. Ha le mani sporche di sangue e brandisce un’arma. La Cherubini grida, mentre questa figura incappucciata si avventa contro di lei.
«Mario! Esci fuori! Brucia la casa!», urla davanti al pianerottolo. Ma è già troppo tardi.
Il fuoco lentamente divora la camera di Raffaella. La vicenda si consuma in venti minuti, lasso di tempo in cui se quello non era l’Inferno, sicuramente ne era l’Anticamera.
I pompieri non troveranno solo il corpo di Mario Frigerio, riverso sulle scale.
Nessuno, vorrebbe rinvenire il cadavere di Valeria Cherubini, sul pianerottolo. Poco distante da quello di Mario.

Più sopra, ci sono i corpi di Raffaella Castagna, trent’anni, e di sua madre Paola Galli, sessanta. È difficile trascinarle via: il fumo brucia il respiro. Entrambe hanno i vestiti che vanno a fuoco.
Fortunatamente stanno venendo i rinforzi. Arrivano i Carabinieri, il procuratore generale.
Spento l’incendio, notano altri dettagli dell’appartamento di Raffaella. C’è sangue dappertutto: sulle pareti, sui mobili. Sul divano, c’è il corpo del suo piccolo bambino, Youssef, di due anni e tre mesi. Una creatura innocente finita a fare capolino in una vicenda molto più grande di lui.
Tra le vittime anche il cane di Frigerio, soffocato dal monossido di carbonio dei fumi.
Com’è possibile che una furia omicida così letale si sia scagliata contro di loro? Erba si riempie di interrogativi. È l’11 dicembre 2006, e la Brianza non è più una terra silenziosa. Quella sera l’Apocalisse sembra essersi fermata al primo piano di via Armando Diaz.
Un buco nell’acqua grande quanto il mar Ionio
C’è un particolare che rende questa storia ancora più inquietante. Tutto quel sangue dice una cosa terribile: questo non è un semplice omicidio, ma un massacro.
Chi può aver ucciso quattro persone e averne ferita una tanto da portarla in coma?
Mario viene portato subito in ospedale. Vengono avviate anche le autopsie. Le vittime, oltre alle numerose coltellate, presentano anche delle ferite da corpo contundente, forse una spranga. Solo Youssef è stato ucciso da un unico colpo alla gola.
Tutte e cinque le persone colpite sono accumunate da questo colpo finale, una sorta di sgozzamento. Se Mario Frigerio si trova in ospedale, lo deve solo a una fortunata coincidenza: a causa di una malformazione della carotide, per qualche millimetro la lama dell’arma non l’ha recisa.
Il tipo di ferite e le dinamiche lasciano intendere un’unica cosa: gli assassini erano due. Uno di questo mancino. Inoltre, molti inquirenti cominciano a sostenere che, coloro i quali avessero compiuto questo massacro, provassero dell’odio nei confronti delle loro vittime. In fondo, ci vuole tanta rabbia per uccidere un bambino di due anni, davanti a sua madre.

Ora ci vuole solo tanto coraggio per guardare in faccia i familiari delle vittime, tra cui Carlo Castagna, che in una sola notte ha perso una moglie, una figlia e un nipote. Per un caso non era con loro. Le sue lacrime rappresentano il dolore di una nazione intera.
È arrivato il momento di iniziare a raccontarvi delle indagini dietro questo caso.
Gli inquirenti cominciano a indagare proprio da Raffaella. Nessuna ipotesi viene esclusa.
Mario Frigerio e sua moglie Valeria non avevano nulla da nascondere. Due figli grandi: appassionato escursionista lui, lei commessa. Due brave persone, così come Paola Galli. Tutti la raccontano come una donna pia, sempre dedita alla beneficenza. Il signor Carlo Castagna è un democristiano buono e colto, che per anni ha lavorato come assessore una volta conclusi i suoi studi a Parigi.

Quella dei Castagna è una famiglia che conta a Erba. Benestanti e stimati. È proprio da qui che cominciano le ricerche. Raffaella ha due fratelli: Giuseppe e Pietro, che lavorano con il padre. Lei è la piccola di casa, una ribelle che amava il sociale e le persone. Pur essendo molto cattolici, nessuno in famiglia approvava questo suo eccessivo altruismo.
In particolare, suo marito Azouz non era ben visto. Tra tutti i membri della famiglia, da quella tragica scena mancava anche lui. Perché il giovane tunisino non era presente? E soprattutto, dove si trova?
Il giovane è originario di Hammamet, Tunisia. Il padre è fotografo, la madre casalinga. Nel 2002 raggiunge il fratello maggiore, già in Italia da qualche anno. Incontra Raffaella nella piazza del mercato di Erba. Un colpo di fulmine. Azouz è un giovane piacevole, e le propone di sposarlo dopo un paio di mesi dal loro primo incontro.
Alla cerimonia la famiglia Castagna non prenderà parte. Alla famiglia non piaceva a causa delle sue cattive frequentazioni e perché disoccupato. È un personaggio rissoso e iroso, il contrario di ciò che Carlo Castagna sperava come genero.
La nascita di Youssef sembra portare serenità, ma dura poco. Azouz riceve una condanna a due anni di carcere per spaccio di eroina. Per indulto ne sconta solo sedici e, quando rientra a casa, le ore con Raffaella non sono proprio serene.
I vicini spesso segnalano di urla: i due litigano, e Raffaella sembra essere vittima di violenze domestiche.
Un marito violento. Spacciatore. Scappato alla strage della sua famiglia. Con un passato difficile in un paese lontano da Erba, la Tunisia. Se fosse lui, l’assassino?

Sull’opinione pubblica, la strage di Erba lascia una forte impronta. In particolare in seguito le accuse poste nei confronti di Marzouk. In men che non si dica si riprese a parlare di problematiche sociali quali l’integrazione dei migranti in Italia, soprattutto da parte dei militanti dei partiti di destra, tra questi la Lega.
Vennero organizzate fiaccolate contro gli immigrati clandestini, i marocchini e in particolare i tunisini.
Gli inquirenti cominciarono da subito la caccia all’uomo. Ma dura poco.
Tramite un’agenzia di viaggi si viene a conoscenza che Azouz Marzouk in quei giorni si trovava in Tunisia. A confermare ciò anche lo stesso Carlo Castagna.
Marzouk dalla scena del crimine si trovava distante 1.514,2 km. Quello degli inquirenti si tratta di un buco nell’acqua, grande quanto il mar Ionio.
Excusatio non petita, accusatio manifesta
Un giorno dopo la strage, Azouz rientra in Italia. Ora gli è rimasto solo Carlo Castagna.
Le indagini proseguono, nonostante molti continuino a non provare compassione nei confronti del tunisino. Il suo volto invade televisioni e giornali. Eppure l’esposizione mediatica non lo infastidisce, ma al contrario, come racconterà lui stesso più avanti, gli fruttò particolarmente in termini di denaro.

Ma se Marzouk esce di scena, il suo passato rimane comunque oggetto di indagini. Gli inquirenti si chiedono infatti se la strage non potesse essere una vendetta da parte di qualcuno con cui il tunisino avesse avuto problemi. Il ragazzo era infatti stato coinvolto in alcuni screzi con altre bande di spacciatori, oltre ad aver conosciuto alcuni boss di Ndrangheta in carcere.
Entrambe le piste non portano a nulla.
Le indagini cambiano rotta, si ritorna a controllare la scena del crimine. Si riparte dalla scelta di colpire le proprie vittime in casa e dalle armi usate. Si pensa infatti che il coltello e la spranga siano state selezionate per evitare di fare eccessivo rumore.
C’è poi un dubbio: i killer da dove sono scappati? Ci sono solo due via di fuga, ossia le scale e il portone, ma i vicini di casa non hanno visto nessuno uscire dal palazzo. Questi hanno un nome: Olindo Romano, di 44 anni, e Rosa Bazzi, di 43.

La notte della strage sono tra i primi a venire ascoltati dai Carabinieri, abitando al piano di sopra di Raffaella. Durante gli interrogatori gli inquirenti notano qualcosa di strano. Il signor Romano presentava un’ecchimosi al braccio, mentre la signora Bazzi una ferita al dito. Come se li sono provocati?
Non basta per costituire una prova, chiaramente. Eppure, non passano inosservati gli atteggiamenti dei due. Rosa, in particolare, mostra uno scontrino ai Carabinieri, senza che nessuno lo chiedesse.
In latino si dice “Excusatio non petita, accusatio manifesta”, letteralmente “Scusa non richiesta, accusa manifesta”.
Come se Rosa volesse giustificare e dimostrare che lei e suo marito Olindo stessero facendo altro, quando nessuno aveva messo in discussione, fino a quel momento, un loro alibi.
Infine, c’è un altro particolare che suscita stupore e perplessità. Intorno alle due del mattino, la coppia decide di accendere la lavatrice. Agli inquirenti pare strano che decidano di svolgere faccende domestiche a quell’ora della notte, dato quello che era accaduto.
Forse tutto questo non significa nulla, forse sono solo dei dubbi infondati. Dei comportamenti ambigui.
Eppure, gli inquirenti non vogliono tralasciare alcuna pista: vengono fatti analizzare gli abiti messi a lavare quella sera, mentre i Romano finiscono incarcerati.
Ma chi sono Olindo e Rosa?
Se i vicini fan schiamazzi, chiama Olindo e Rosa Bazzi
Olindo e Rosa sono sposati e vivono a Erba da più di vent’anni. Da fuori sembrano tanto diversi.
Olindo è un omone taciturno e scontroso. È figlio di alpini, rude ma dall’animo buono. Rosa è molto socievole, chiacchierona e vivace. Piccola di statura, con un’istruzione che si ferma alla quinta elementare.
Netturbino lui, donna delle pulizie lei. Estremamente puliti e ordinati. Una vita autoriferita, scandita dai loro orari di lavoro. Pur avendo amici, preferiscono passar tempo soli a casa. Con i loro ritmi ben precisi: pranzo rigorosamente alle 13, cena alle 19, a letto prima delle 22. Un rapporto simbiotico e profondo.

Sono talmente chiusi nel loro mondo da non sopportare rumori e urla, soprattutto quelle che provengono dall’appartamento di Raffaella Castagna.
Olindo e Rosa malvedono Raffaella e Azouz. Ma i coniugi hanno un alibi, che sembrerebbe scagionarli dalla vicenda: i due raccontano di essere infatti andati a cenare al McDonald’s di Como, e a riprova di ciò vi è il famoso scontrino.
Eppure qualcosa continua a insospettire gli inquirenti perché quello non è un alibi ferreo. L’orario dello scontrino è delle 21.37. Mentre la strage si è consumata intorno alle 20. Erba e Como sono a pochi chilometri di distanza. Bastano un quarto d’ora di macchina. Volendo, uno può compiere la strage e poi andare a cenare con un Big Mac senza problemi.
D’altro canto, l’astio che vi era tra i Romano e i Castagna era noto a tutti. Una volta, Raffaella con un vaso aveva sporcato i panni stesi di Rosa. Le due iniziano a litigare tanto animatamente per la vicenda che la prima decide di querelare la Bazzi per percosse.
Ma si può decidere di sgozzare qualcuno per una querela? E altre vittime per quale motivo c’entrano?
Nel frattempo arrivano i risultati delle perizie del RIS di Parma: in casa dei Romano non ci sono tracce di sangue o di natura biologica delle vittime, mentre nella scena del crimine non viene trovato segno alcuno di Rosa e Olindo. Non ci sono prove sufficienti per accusarli di omicidio.
L’unico che può dare una risposta è Mario Frigerio, che all’improvviso si risveglia. Respira a fatica, ma è in grado di parlare. Alla presenza degli inquirenti racconta in maniera abbastanza precisa gli eventi.
Stando ai suoi racconti, uscito sul pianerottolo di casa la prima cosa che vede è una figura fuori l’appartamento dei Castagna. Un individuo di imponente stazza, con la faccia grossa e i capelli abbassati, e di cui lui si fida. Questo lo spinge a terra con forza, prima di tirare fuori dalla tasca il coltello.
L’identikit fornito da Frigerio cambia più volte. Quando gli inquirenti gli chiedono per la prima volta se si trattasse di Olindo Romano, Mario Frigerio risponde di sì.
Eppure nel farlo continua a descrivere una persona che non sembrerebbe rispettare l’aspetto estetico del vicino di casa, trattandosi di un uomo dalla pelle olivastra.
C’è un altro elemento che proverebbe la colpevolezza di Olindo. Nella sua macchina viene infatti trovata una piccola traccia di sangue di Valeria Cherubini.
Eppure, Frigerio stesso conferma la presenza di un secondo killer insieme a Olindo. Chi potrebbe essere se non Rosa? Che, oltre a essere la sua compagna di vita, è anche mancina?
I due vengono arrestati per la strage di Erba.

Sono davvero i colpevoli della strage di Erba?
Sappiamo tutti come si conclude la loro storia, ma è giusto che ve la racconti.
Sottoposti ai primi interrogatori, entrambi i coniugi negano di essere i colpevoli dell’omicidio. Mettono in dubbio le parole di Frigerio, accusandolo di aver detto il falso, e continuano a ripetere di essere stati tutta la sera lontani da via Armando Diaz e da Erba.
Poi, succede qualcosa che dà a questa storia una piega diversa. Olindo decide di voler confessare. Avendo parlato con i magistrati, spiega a Rosa, in uno dei loro ultimi incontri prima del processo, che se avesse confessato lei sarebbe stata assolta.
Ovviamente, ciò che vi stiamo raccontando è tratto dai file delle registrazioni che gli inquirenti hanno effettuato durante tutte le indagini.
Olindo e Rosa ammettono, separatamente, di essere colpevoli. Ognuno accusa sé stesso per scagionare l’altro, ammettendo l’odio che entrambi provano per i Castagna. Sei anni di liti dove la querela è stata la goccia che ha fatto traboccato il vaso. L’udienza, infatti, si sarebbe tenuta due giorni dopo la strage.
Prima di uscire, i due coniugi ammettono anche di aver staccato la luce della casa di Raffaella dal contatore del condominio, per vendicarsi dell’ultimo litigio avvenuto. Dopodiché, avrebbero aspettato che la donna tornasse dal lavoro, seguita quella sera da Youssef e dalla mamma, Paola Galli. Olindo, armato di spranga, e Rosa, con il coltello, si sarebbero poi avventati contro l’appartamento dei Castagna.

I due raccontano le dinamiche della strage: secondo il loro racconto, Rosa avrebbe accoltellato Raffaella, mentre Olindo avrebbe ucciso a sprangate la madre. Terminato il massacro avrebbero dato fuoco all’appartamento. Uscendo, trovandosi Valeria Cherubini di fronte, sono stati costretti a massacrarla. Lo stesso destino è toccato a Mario Frigerio, su cui Olindo si sarebbe accanito.
L’ultima parola spetta ai giudici. Il 29 gennaio 2008 si apre il processo e si accendono i riflettori della nazione intera. La coppia dei Romano, da dietro le sbarre, si scambiano coccole ed effusioni come due fidanzati. Il ricordo di quella notte affiora come il peggiore degli incubi. Interrogato davanti alla corte, Olindo accuserà più volte i Carabinieri di averlo sottoposto al lavaggio del cervello.
La difesa, costituita da Fabio Schembri, si concentra sulla confessione, ritenuta indotta. Riguardo alla macchia di sangue trovata sull’auto, si tratterebbe di una contaminazione innocente da parte degli stessi inquirenti che la sera stessa, dopo aver perlustrato la scena del crimine, sono entrati nella macchina di Olindo.
L’accusa di Astori e Manuel Gabrielli demolisce le dichiarazioni di Olindo, riportando perizie riguardo la disputa dell’auto.
A rendere il clima più pesante anche le consulenze psichiatriche svolte da Massimo Piccozzi, per conto della precedente difesa dei Romano. A inchiodare i coniugi c’è la testimonianza di Frigerio, che afferma di ricordarsi ogni singolo dettaglio di quella notte.
La difesa, riguardo le parole di questo, ripete siano state condizionate e quindi inattendibili. Davanti ai giudici, Rosa ribadisce la sua innocenza, supplicando i giudici di non separarli in carcere.

Alla fine, questa richiesta non verrà ascoltata. La Corte d’assise pronuncia il 26 novembre 2008 la sentenza di primo grado: i coniugi Romano sono condannati all’ergastolo con l’isolamento diurno per tre anni. La Corte di Cassazione confermerà la condanna.
Oggi i coniugi Olindo e Rosa sono autorizzati a vedersi una volta al mese. Stanno scontando la loro pena rispettivamente al carcere di Opera lui e a quello di Bollate lei.
Il 16 settembre 2014 muore, in una casa di cura ed all’età di 73 anni, Mario Frigerio, dopo qualche mese dalla diagnosi di una malattia terminale. Il 25 maggio 2018, a 74 anni, ci lascia Carlo Castagna.
Oggi il procuratore Cuno Tarfusser ha chiesto di riaprire l’indagine. Insieme a lui anche il pool degli avvocati della difesa, costituito da Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello. Questi mettono in dubbio la validità delle parole di Mario Frigerio, e al contrario sostengono di disporre di “più di un nuovo testimone”.

Tra questi un uomo che “risiedeva nella casa della strage, poi arrestato per traffico internazionale di stupefacenti che faceva parte dei fratelli di Azouz”. Questo avrebbe riferito “di una faida con un gruppo rivale, nella quale anche lui è stato ferito con un’arma da taglio”. Un altro testimone sarebbe “un ex carabiniere che riferisce delle indagini e delle parte mancanti del 50% dei momenti topici delle intercettazioni”.
Ad aver causato la morte dei Castagna e di Valeria Cherubini non sarebbe stato l’odio che Olindo e Rosa provavano nei confronti di Raffaella, ma un regolamento di conti tra bande rivali, legato al mercato dello spaccio.
«Ogni singolo elemento di prova non regge e ora i nuovi elementi raccolti vanno a intaccare la condanna» spiega Schembri all’Adnkronos.
Per il pool di avvocati, l’identikit fornito da Frigerio sarebbe una memoria falsata, così come “false“, indotte, sono le confessioni di Olindo e Rosa. La macchia di sangue di Valeria trovata nella macchina di Olindo sarebbe una “suggestione ottica”.
Infine, viene posto un grande interrogativo: com’è possibile che in quella “mattanza“‘, in quel “bagno di sangue“, i due condannati siano riusciti a non lasciare alcuna loro traccia e a non ‘portarne’ alcuna nella loro abitazione?
La scleta se riaprire il caso spetta prima alla Corte d’Appello di Brescia e poi ai legali della procura generale di Milano.
Nel frattempo poniamo a voi il quesito: Olindo e Rosa sono davvero colpevoli?
Scritto da Gaia Vetrano
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