Sanremo e politica? Una relazione che dà fastidio

di Emanuele Lo Giudice
8 Min.

Il Festival di Sanremo è l’evento italiano per antonomasia, ma non poche volte finisce nel mirino di chi rimane “infastidito” da ciò che viene detto o cantato.

Il festival di Sanremo torna a dar fastidio perché « politico », c’è chi urla infatti al siparietto: «Pensate alla musica!», «Non serviva il sermone», «Non capisco perché la politica debba esserci ovunque». Ma si può davvero allontanare la politica dal quotidiano, dal bello, dal brutto, dalle storie di ognuno di noi? La politica è ovunque. Non si può setacciare il mondo nella speranza che i granelli politici siano più grandi degli altri. Passeranno, passeranno sempre. E non è detto sia un male.

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Pensate, ad oggi si fa politica anche al supermercato scegliendo il succo di frutta la cui marca ci convince moralmente di più. E poi perché esserne così scandalizzati e scontenti? Basta mettere piede fuori dal portone del proprio palazzo che anche un qualche piccolo accenno alla politica ci colpisce in faccia, magari dal vicino che porta a spasso il cane e chiacchiera con la prima persona che gli capita sul cammino.

La politica è ovunque, dovremmo farcene una ragione – o meglio – dovremmo imparare a trarne delle conclusioni utili ad avere una visione generale della nostra realtà. È politica la scelta delle notizie pubblicate la mattina sui quotidiani, è politica la scelta che facciamo prendendo la bici a discapito della macchina, è politica la scelta di ciò che vogliamo sentire e di ciò che preferiamo ridurre a semplice ronzio perché diametralmente opposto a ciò in cui noi crediamo. Sto estremizzando, certo … il succo del discorso è che non possiamo pretendere che un qualcosa prescinda dalla politica, anche che sia Sanremo, anche che si tratti di musica. Soprattutto (!) perché si tratta di musica.

Musica e fastidio? Sanremo ne è la giusta commistione

La musica fa bene al cuore, ci culla mentre la ascoltiamo e caratterizza momenti specifici che vogliamo ricordare. La musica, però, porta anche a riflettere. Può essere una denuncia, un grido d’aiuto, un dissenso, uno strumento per riportare alla realtà chi ascolta, talvolta troppo preso dalla sinfonia per ricordarsi che in quel momento ci sono molteplici altre situazioni attorno a lui, anche brutte.

Sanremo

Dobbiamo davvero stupirci se nella kermesse di queste sere alcune frasi hanno scosso così tanto gli animi? Anzi, chiediamoci perché abbiano davvero recato fastidio. Non è tanto in sé ciò che viene detto che infastidisce – premessi i pensieri di chi ascolta – ma piuttosto il sentimento che tale circostanza crea. Insomma, ascoltiamo canzoni per rilassarci o divertirci e, toh, cantante x ci infila in mezzo il dissenso politico o – peggio – un grido necessario a non dimenticare mai determinate realtà. Infastidisce, naturalmente, perché a quelle realtà non vogliamo pensarci e questo perché, è vero, noi della politica siamo stanchi. Eppure, non possiamo dividercene.

Parlando specificatamente del palco dell’Ariston, che di anno in anno tiene milioni di persone davanti alla televisione per una settimana intera (solo la prima serata 2024 ne ha contate 10 milioni, con uno share del 65%), è impossibile che non sia politico. Sanremo è un evento che negli anni si è consolidato come L’evento italiano, nel tentativo, in qualche modo, di ricordare che un qualcosa ci unisce tutti, la musica. Ed è proprio perché unisce, la musica, che deve anche scuoterci ogni tanto. Inserire frasi politicamente rilevanti nei testi delle canzoni, non solo porta attenzione su di esse, ma è un « fastidio » necessario.

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L’abbiamo visto con Tananai, che nel 2023, tra sfilate con abiti di migliaia di euro ed ospiti di rilevanza anche internazionale, ci ha ricordato che a 700km da noi si combatte una guerra. L’ha denunciato con due rose e una canzone che, in parte, ha anche dato fastidio. « Che c’entrano ora l’Ucraina e la politica con Sanremo? » … c’entrano, è il ricordo di un qualcosa di brutale, la guerra, che rovina (metaforicamente parlando) un qualcosa di sublime, la musica. Il fastidio che genera è sintomo che, in effetti, in quel momento ci dimentichiamo anche di tutto il resto.

L’ha fatto Dargen D’Amico ricordando i bambini che muoiono, dando di nuovo fastidio … di fatto, basta pensare a ciò che noi permettiamo avvenga tra gli esseri umani per farci capire che la verità è sempre un solido schiaffo in faccia. Unica pecca, Dargen ha ritrattato successivamente, rifiutando di essere accostato a un « peccato » come quello di « essere politico » . Avrei preferito avesse usato altre parole, non è un peccato essere politico, non fossimo « politici » saremmo animali. Dovrebbe tenere a mente che compiamo azioni politiche ogni giorno e che esse connotano la nostra esistenza in quanto umani.

L’ha fatto Ghali, sebbene non volutamente (come da lui sostenuto), che alla bellezza del cielo blu e del prato « sempre più verde » ha contrapposto il carattere guerrafondaio della nostra realtà. « Ma quale casa mia? », infatti. Ha fatto seguito BigMama, dedicando la sua performance alla comunità queer, invisa ancora a parte della società. L’ha fatto Achille Lauro nel 2022, indossando abiti spinti ed eccentrici e mettendo in bilico il già precario equilibrio del machismo e della mascolinità tossica. L’ha fatto Marco Mengoni, parlando dell’uguaglianza dei baci. Potrei continuare a iosa, retrocedendo nei decenni che abbiamo alle spalle.

Riflettiamoci

Credo sia necessario tenere a mente l’importanza di questi eventi, anche quando avvengono in serate di così ampia portata. Anzi, è importante considerarli proprio perché accadono in quel momento. A 10 milioni di persone, in queste due sere passate, è stato ricordato che alla bellezza si contrappone sempre qualcosa di errato. È giusto tenere a mente che « per un pezzo di terra o di pane non c’è mai pace », ma anche che su una barca ci sono sempre « più persone che salvagenti ».

Sminuire il tutto sostenendo che al Festival di Sanremo si dovrebbe cantare e non fare politica? Significa che lo scopo di quelle parole è stato raggiunto. Hanno dato fastidio, questo basta. Quando le parole ci danno così fastidio, è perché, in realtà, riconosciamo che ciò che sentiamo è solo verità. Il fastidio rappresenta la presa di consapevolezza che c’è qualcosa che non va che non vogliamo affrontare, o di cui ci rendiamo noi stessi complici. Il presidente della comunità ebraica di Milano, per esempio, ha condannato le parole di Ghali come « anti-israeliane », ma non c’è alcun riferimento esplicito a Israele nel testo. Evidentemente il richiamo ai bombardamenti sugli ospedali deve aver innescato risentimento, peccato che la condanna a Ghali si sia semplicemente rilevata una chiarissima « mea culpa ».

Le storture e le brutture che connotano la nostra società è giusto che diano fastidio, anche durante i siparietti di Fiorello e Amadeus.

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