Trama
Marty McFly (J. Fox) è un giovane liceale con alle spalle una famiglia travagliata: suo padre George (Glover) è succube delle prepotenze del suo capoufficio; sua madre (Thompson) è alcolizzata ed infelice. Marty tuttavia ha un amico speciale, Doc Brown (Lloyd), che, una notte, a seguito della rivelazione al ragazzo della sua nuova scoperta, una macchina del tempo, lo porterà a viaggiare nel 1955 dove, senza volerlo, andrà ad intromettersi nel susseguirsi degli eventi riguardanti l’innamoramento dei suoi genitori, cambiando il presente. Diviene suo compito quindi far sì che i suoi genitori si incontrino, prima che, dopo i suoi fratelli, svanisca anche lui.
Recensione
Secondo blockbuster nella cronologia filmografica del regista di Forrest Gump (1994) Robert Zemeckis (dopo All’inseguimento della pietra verde, 1984), Ritorno al Futuro è ormai entrato da tempo nell’immaginario collettivo come uno dei film che ha fatto sognare un’intera generazione. Il film può essere infatti inserito in quella sotto-corrente cinematografica fantascientifica che trova inizio ed ispirazione da Star Wars (1977) e che, grazie a figure di spicco come George Lucas o Steven Spielberg (quest’ultimo produttore esecutivo di Ritorno al Futuro stesso), si trova oramai nell’albo d’oro della storia del cinema americano popolare. Il lungometraggio di Zemeckis cavalca l’onda della fantasia, spronando lo spettatore a sognare. È senza dubbio, quindi, il fascino che appassiona i più giovani a Ritorno al Futuro (come anche ad altri film del genere), senza tuttavia lasciare indifferenti anche i più grandi.

Il ruolo che l’ambiente ha nell’intero arco narrativo è quasi fondamentale: sfruttando il più grande vantaggio cinematografico (quello visivo), il regista fin dalla scena iniziale dà degli indizi su quelli che sono i temi e le caratteristiche del film stesso. Con lo scorrere dei titoli di testa, infatti, la cinepresa compie una lenta panoramica su una stanza piena zeppa di orologi: il tempo è il primo protagonista che ci viene presentato. C’è poi il sistema automatico di distribuzione del cibo per cani, un chiaro riferimento al ruolo e alla passione della tecnologia stravagante del protagonista (qualche minuto più tardi si scopre inoltre un impianto audio enorme che spazza via Marty al suono della sua chitarra elettrica). Ed è sempre l’ambiente il primo strumento che viene dato allo spettatore per distinguere Hill Valley (città immaginaria in cui è ambientata la storia, in realtà creata negli Universal Studios ed ancora visitabile a Los Angeles) del 1985 e quella del 1955.
Tuttavia, se all’inizio ci si aspetta di trovare un Marty nerd e timido, scopriamo invece che egli è un ragazzo vivace, sicuro di sé e che riesce a trovarsi a suo agio in pubblico.
Nei primi venti minuti dedicati interamente alla contestualizzazione dei personaggi, si fa poi la conoscenza del preside della scuola, che si scopre essere solito richiamare Marty per i suoi ritardi, del padre George, succube del suo capo, della madre Lorraine, alcolizzata ed infelice. Insomma, la famiglia di Mcfly è profondamente provata da un’infelicità e difficoltà economica generale, una situazione sofferta dallo stesso protagonista che sogna di comprare un 4×4, tuttavia troppo costoso.

Il vero risvolto narrativo si ha, però, quando il suo amico Doc Brown arriva ad una resa dei conti con terroristi libanesi e Mcfly è costretto a scappare a bordo della DeLorean, ritrovandosi nel 1955. Qui, l’avventura intrapresa mette il protagonista (e, al tempo stesso, lo spettatore) dinanzi a tematiche quanto più sentite. Anzitutto, viene messo in risalto il ruolo che il destino ha per ogni uomo: all’inizio del film, la band di Marty viene scartata in quanto “troppo rumorosa”, compromettendo ogni speranza di realizzazione per il ragazzo; eppure, posto dinanzi allo stesso atteggiamento da parte del padre, la cui rinuncia al perseguimento dei propri obiettivi mette a rischio l’esistenza stessa di Marty, egli si rende conto che è l’uomo a dover costruire un proprio destino e che, se lascivo e diffidente, sarà destinato alla mediocrità. Diviene ruolo di ognuno, quindi, fare del proprio futuro un futuro fiorente, avvincente. Non sono forze superiori a condannarci o a favorirci, ma siamo noi, con passione e con ambizione, a dover percorrere passo dopo passo una strada, all’insegna dei propri sogni. Non a caso, infatti, quando Mcfly sprona il padre a seguire i propri desideri, egli diviene un famoso scrittore di fantascienza, finendo per essere padrone di sé stesso. Una visione dunque chiaramente antropocentrica che, in verità, si deduce sin dall’inizio quando ci si rende conto che Mcfly assume, nel 1955, il ruolo di un dio, conscio dei fatti futuri e quindi capace di cambiare gli avvenimenti a suo favore. Un contenuto poco adatto, in sostanza, a chi crede fermamente nel determinismo e nel ruolo centrale del destino, ma indubbiamente reale e didascalico.
Vi è inoltre un’analisi del rapporto genitoriale. Attraverso un interessante e simpatico espediente narrativo, il rapporto verticale genitore-figlio viene capovolto: nel 1955, infatti, è Marty a divenire il genitore di suo padre stesso, dandogli insegnamenti, esortandolo nel raggiungere i suoi desideri: in un certo senso, Marty dà a George la figura paterna che egli, nel presente iniziale da cui arriva, non è mai riuscito ad essere. Dall’altro lato, tuttavia, vi è anche la scoperta di un lato dei propri genitori che troppo spesso, in età adulta, viene nascosto o dimenticato. Anche se avremmo desiderato maggior rilevanza riguardo questo aspetto, osservando i personaggi ci si rende conto che George, così come Lorraine, erano degli adolescenti tanto quanto Marty, con le stesse paure, le stesse infatuazioni amorose, le stesse ambizioni. Ciò può risultare logicamente scontato ma, riflettendoci, spesso i figli vedono gli adulti come lavoratori severi e lontani dall’essere sognatori, troppo spesso perché consumati dai meccanismi freddi ed apatici della società. Per questo motivo il film, da questo punto di vista, può diventare un invito a raccogliere e portare sempre con sé la spensieratezza dell’età adolescenziale.

Nondimeno, è una sorta di propaganda capitalistica filo-americana in cui cade, alla fine, il film stesso. Facendo innamorare i suoi genitori e spronando suo padre ad inseguire i suoi sogni e a reagire alla prepotenza, Mcfly, tornato nel 1985, si ritrova infatti dinanzi ad una famiglia alto-borghese, ricca e quindi felice, spensierata e serena. Pertanto, ciò che il film sembrerebbe implicare è che la felicità è ottenuta grazie alla ricchezza economica, al possedimento dei beni materiali e al soggiogamento degli altri (il prepotente capoufficio che sfruttava George all’inizio, nel “secondo presente” diviene egli stesso sfruttato). In questa propaganda Reaganista (Reagan peraltro citato nel film quando, negli anni ‘50, era un famoso attore), Ritorno al Futuro si dimostra sicuramente realistico e coerente con gli anni in cui uscì nelle sale, ma, come spesso accade in ambito socio-economico, la realtà è ben lontana da ciò che è, effettivamente, umanamente giusto.
Scritto da Emanuele Fornito con la collaborazione di Michele Ponticelli
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