Rat Man, ma non è la Marvel: trapiantato tessuto cerebrale umano in dei ratti

di Elisa Quadrelli
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 5 Min.

Dei ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno trapiantato tessuto cerebrale umano in dei ratti, facendolo diventare parte funzionale del loro cervello. Il loro studio a riguardo, pubblicato recentemente nel giornale Nature, è stato completato nel giro di sette anni, tra questioni etiche sul benessere degli animali e altre particolarità tecniche. Le applicazioni di questo studio alla ricerca neuroscientifica e medica sono immediatamente visibili per quanto riguarda disabilità intellettive, autismo, epilessia e schizofrenia.  

L’esperimento


Il tessuto (insieme di cellule) umano impiantato nel cervello dei ratti è stato adattato in laboratorio grazie ad una tecnica che permette di trasformare cellule epiteliali in cellule staminali (cellule senza specializzazione fisiologica da cui le altre cellule si sviluppano, quindi che possono diventare cellule specializzate).

I ricercatori hanno usato le cellule staminali per ricreare un tessuto simile al tessuto cerebrale della corteccia, ovvero della parte più “nuova” del cervello deputata al processamento di funzioni avanzate come la presa di decisione, l’apprendimento, il linguaggio e l’intelligenza

Il cervello di ratti nati da pochi giorni ha ricevuto queste cellule, che sono andate a sistemarsi integrandosi nei meccanismi già esistenti del cervello. Si sono formate quindi connessioni tra il tessuto nervoso dei ratti e quello umano: infatti nessuna parte del cervello dei ratti è stata rimossa, ma si è creato lo spazio per ospitare nuovi circuiti, ovvero nuove connessioni. 

I risultati

Se inizialmente la componente “umana” nel cervello del ratto era ridotta, nel giro di sei mesi è arrivata a ricoprire un terzo della densità del cervello del ratto. Questo non significa che il cervello del ratto sia stato soppiantato, ma che la proprietá del cervello chiamata plasticità ha permesso di modificare la propria struttura in una sorta di “riorganizzazione”. 

Il talamo è localizzato nel profondo dell’encefalo ed è un insieme di nuclei fondamentale nella regolazione dell’attività elettrica cerebrale (onde cerebrali), responsabile di funzioni come apprendimento, memoria, sonno e soprattutto del processamento delle informazioni sensoriali (tranne l’olfatto). È proprio nel talamo che si sono formate le maggiori connessioni tra le cellule nervose umane e animali.

Tentativi precedenti e metodologia

Un esperimento del genere era giá stato tentato nel 2008 da Yoshiki Sasai, biologo giapponese, che però aveva mancato di inserire un sistema per irrorare con vasi sanguigni il tessuto cerebrale umano, causando la morte delle cellule. 

Sergiu Pasca, il professore di psichiatria e scienze comportamentali a Stanford , ha condotto lo studio con efficacia, anche grazie agli stessi errori metodologici commessi da quelli prima di lui.

Pasca a fronte di possibili critiche rispetto l’etica dell’esperimento ha anche spiegato che i ratti non hanno sofferto dolori o spaventi: è prerogativa infatti per chi conduce questi esperimenti curare il benessere dei soggetti sperimentali. Va anche esclusa l’ipotesi che i ratti siano diventati “più umani” in quanto il cervello funziona attraverso complessi sistemi di connessioni e il suo funzionamento rappresenta qualcosa di più del mero funzionamento della somma delle sue parti.

Applicazioni pratiche

In uno degli esperimenti del team di Stanford si sono impiantate nel cervello del ratto cellule provenienti da una persona con una condizione genetica rara con caratteristiche simili a quelle dell’autismo e dell’epilessia (la cosiddetta Timothy syndrome).

Se in un emisfero (il cervello ha due emisferi, uno destro ed uno sinistro)  sono state inserite le cellule “patologiche” si sono invece connesse cellule sane nell’emisfero opposto. Il risultato è stato che i due tipi di gruppi di cellule avevano dimensioni diverse (quelle patologiche erano più piccole) e diversi tipi di attività elettrica, seppur risiedendo nello stesso cervello. 

Questo risultato è promettente per il futuro della ricerca in ambito psichiatrico e neurologico. È di vitale importanza infatti considerare la natura dei disturbi psichiatrici come non assolutamente astratta, ma spesso riconducibile a malfunzionamenti del cervello che possono essere miscroscopici o addirittura macroscopici. Grazie alla plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di riorganizzare le sue strutture in maniera funzionale alle necessità, è possibile trovare nuovi modi per aiutare chi ha compromissioni tali da arrecare malessere. 

Scritto da Elisa Quadrelli

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