“Questi sciaurati che mai fur vivi”
Questi miserabili che mai furono vivi
Cari lettori e lettrici, eccoci, come ogni settimana, nei nostri “3 minuti di letteratura”. Oggi tenteremo insieme l’ardua impresa di analizzare un verso dell’ opera che rende sublime la letteratura italiana agli occhi del mondo: la Divina Commedia di Dante Alighieri.
Chi è Dante Alighieri?
Dante Alighieri non è un poeta italiano ma il poeta. Nasce a Firenze nel 1265 sotto il segno dei Gemelli e muore a Ravenna nel 1321.
Descrivere Dante Alighieri in poche righe è impossibile, per dare un’idea della sua grandezza bisogna smontare il giudizio che vede la sua Opera entro e non oltre i confini del Medioevo. Dante non è un letterato medievale, è l’uomo che con il naso più importante di tutta la storia dell’Umanità, ci ha donato versi colmi dell’essenza dell’Amore, un amore che dà beatitudine come la sua Beatrice, di fervida passione politica, che gli fa amare e criticare la sua Italia, una Poesia che “fa tremar le vene e i polsi”.

La Divina Commedia
Il titolo che Dante assegna al suo capolavoro è Comedìa o Commedia, l’aggettivo “Divina” venne attribuito da Boccaccio nella sua biografia dantesca e integrato nel titolo a partire dalle edizioni stampate del Cinquecento.
Nel poema, Dante intraprende un viaggio nei tre regni dell’oltretomba: Inferno, Purgatorio e Paradiso, una visione che si fa concreta, un viaggio in cui Dante poeta convive con Dante uomo, un uomo sconvolto dal dolore nel vedere le pene dei dannati, dolore che più volte tra i versi diventa lacrime o, ancor di più, perdita di sensi.
E’ un uomo che riesce a spiegare a malapena la sublime visione del Paradiso. E, in più, un uomo poeta con le sue paure e le sue speranze, che desidera liberarsi dal peso del peccato, abbandonandosi a quell’amore “che move il sole e l’altre stelle”. (Paradiso, canto 33 v.145)
Oggi vi porteremo nella profondità di un unico verso che ha in sé l’essenza dell’io.
Gli ignavi: anime senza infamia e senza lode
Nel terzo canto dell’Inferno ci parla degli ignavi, anime di persone che in vita non si schierarono mai, non scelsero mai da che parte stare. Dante non li colloca nell’inferno ma nell’Antinferno perchè
“Caccianli i ciel per non esser men belli,
I Cieli li cacciano per non essere meno belli, ma neppure il profondo Inferno li accoglie, perchè i dannati avrebbero un motivo di vanto nei loro confronti.
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli”.
Il motivo di vanto di cui parla è l’aver scelto chi essere nella vita. I dannati, infatti, nonostante siano caduti nel peccato, hanno corso il rischio, costruendo, così, il loro essere.
Gli ignavi chi sono? “sciaurati che mai fur vivi”, anime miserabili che non hanno scelto e di conseguenza non sono mai state vive, non sono mai state.
In Dante abbiamo, come in moltissimi altri intellettuali, l’idea che vi sia identità tra scelta e essere.
Fermiamoci a pensare anche un solo secondo. Nel momento in cui ci viene chiesto: “Chi sei?” Cosa diciamo?
La risposta che diamo non è altro che la concatenazione di scelte che abbiamo preso fino a quel momento: il percorso di studi che abbiamo deciso di intraprendere, lo sport che abbiamo scelto di praticare, la nostra più grande passione, il lavoro dei nostri sogni o semplicemente la canzone che abbiamo scelto di ascoltare stamattina…
Pillola di filosofia
“L’uomo giunge ad un momento in cui non ha più la libertà della scelta, non perché ha scelto, ma perché non l’ha fatto, il che si può anche esprimere così: perché gli altri hanno scelto per lui, perché ha perso se stesso.”
Søren Kierkegaard, filosofo

Kierkegaard, filosofo esistenzialista, è stato il primo intellettuale ad aver affrontato in maniera approfondita il problema della scelta.
L’uomo deve scegliere. L’uomo che non sceglie, lasciando davanti a sé infinite possibilità aperte, disgrega il suo io giorno per giorno.
L’uomo che non sceglie, non vive, uccide se stesso senza rendersene conto, crede di essere libero ma non sa nemmeno chi è.
Scritto da Costanza Maugeri
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