Quattro chiacchiere su un paio di jeans

Breve dissertazione su un evergreen vecchio centocinquant’anni

di Gaia Vetrano
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 18 Min.

4 amiche e un paio di jeans, è un film drammatico del 2005 diretto da Ken Kwapis, prodotto da Warner Bros e tratto dall’omonimo romanzo di Ann Brashares.

Bridget, Lena, Carmen e Tibby sono amiche dall’infanzia. Le quattro, per la prima volta nella loro vita, passeranno l’estate separate, dovendo ognuna recarsi in un angolo diverso del mondo. Lena deve infatti andare in Grecia a trovare i suoi parenti, Bridget ad allenarsi in un campus in Messico, Carmen trascorrerà le vacanze col padre in Carolina del Sud, mentre Tibby resterà a casa per girare il suo primo film.

Decidono così di impiegare una delle ultime giornate che gli rimane insieme per compiere un’attività amata da molte donne: lo shopping.

Una scena del film 4 amiche e un paio di jeasn
Da sinistra verso destra America Ferrera come Carmen, Amber Tamblyn come Tibby, Alexis Bledel come Lena, Blake Lively come Bridget

Coincidenza vuole che trovino un paio di jeans che vada bene a tutte e quattro e che, per questo motivo, lo definiscano “magico”. Alla fine decideranno di comprarlo e di passarselo come testimone delle loro avventure.

La pellicola venne considerata un successo, guadagnando 39 milioni di dollari al botteghino. Una storia di calorosa sorellanza, il racconto di un momento di crescita e maturazione di quattro giovani donne.

Da non sottovalutare la capacità di adattarsi a ogni contesto, dimostrando un animo camaleontico. Le stagioni passano, ma loro rimangono sempre lì. Non stiamo parlando delle quattro protagoniste del film, ma di jeans.

Di jeans ce ne sono tanti.

Ognuno ha il suo preferito. Quello con il lavaggio perfetto e il fit adatto al proprio fisico. Quello in grado di mettere in risalto le proprie forme al meglio.

Andando a consultare la barra di ricerca oggi 16 maggio, le più grandi testate analizzano i look di ogni figura di rilievo dell’industria della moda, che propone un nuovo modo per indossarli, lanciando una tendenza differente, da Jennifer Lopez ad Aurora Ramazzotti. A oggi, non esiste un capo tanto versatile.

Nonostante il ritorno dell’estetica Y2K e la conseguente diffusione di uno dei suoi simboli, ossia i parachute pants, il jeans rimane comunque un must have. Questo proprio grazie alla molteplicità di modelli esistenti, in grado di adattarsi ai trend del momento, magari seguendo linee oversize e una vestibilità loose-fit. Oppure dimostrandosi idoneo a uno styling più sensuale e a linee sartoriali più complesse, come abbiamo visto con il modello a caramella, presentato nell’ultima collezione di Alaïa.

Infatti, il jeans figura nella maggior parte delle passerelle come capo indispensabile per questa Primavera Estate 2023. Etro li dipinge di mille colori, Dior li ricama, Versace vi applica maxi tasche. Cadono morbidi e sensuali, rilassati e a volte oversize, con vita bassa e talvolta bassissima, come quelli di Diesel. E addio al classico blue, per i più audaci vincono i colori: rosa per MM6 Maison Margiela, bianco per Isabel Marant. 

L’essenziale che diventa sensuale.

Parliamo infatti di un indumento nato come divisa dei cercatori d’oro. L’idea? Di Levi Strauss, che il 20 maggio 1853 fonda la Levi Strauss & Co.

Proprio in occasione del 150° anniversario, vi raccontiamo come la “tela di Genova” sia diventata un passe-partout adatto a ogni occasione.

Proprio così, perché le stagioni passano, ma i jeans rimangono.

La loro storia

Persino Yves Saint Laurent si rammaricò di non aver ideato il jeans, perché “ha un’espressione, modestia, sex appeal, semplicità. Tutto ciò che vorrei per i miei vestiti”.

Prima di raccontarvi del genio di Strauss, partiamo da Genova.

Già a partire dal XX secolo, dal porto del capoluogo ligure veniva esportato un tessuto prodotto a Chieti, in provincia di Torino. Questo era un tipo di fustagno – in ambito sartoriale è un fabbricato resistente con armatura a raso – di colore blu usato per confezionare i sacchi per le vele delle navi e per coprire le merci nel porto.

In quegli anni spesso i tessuti spesso prendevano come nome il luogo in cui li produceva, da qui bleu de Gênes ovvero blu di Genova in francese. Secondo molti studiosi, il termine blue – jeans deriva direttamente da questa espressione.

Secondo altri, gli antenati del denim sarebbero i calzoni da lavoro color indaco prodotti a Nimes, diretta concorrente di Chieti nella produzione di tessuti, che venivano usati dai marinai del porto di Genova.

Ma facendo un salto nel tempo, nel 1853 il commerciante di tessuti Levi Strauss i trasferisce a San Francisco, dalla Baviera, e apre una sua bottega. Durante gli anni della corsa all’oro, aumentava la richiesta di indumenti comodi da indossare in miniera.

Così Strauss decise di fondere le sue competenze con il genio sartoriale di Jacob Davis, creando un modello di pantaloni innovativi, che il 20 maggio 1873 portano a brevettare all’US Patent and Trademark Office. L’idea di creare dei calzoni in denim con rivetti di rinforzo in rame alle attaccature delle tasche e in alcuni punti critici, dove il tessuto tende a strapparsi, convince sin da subito gli investitori, che finanziano il progetto.

Un capo semplice, ma geniale, che prende il nome di waist overalls, perché avevano lo scopo di coprire dallo sporco.

In poco tempo diventano la divisa di cowboy, minatori e operai della ferrovia trans-americana, grazie anche della tasca in pelle aggiunta nel 1886 per aumentare la robustezza.

Allo scadere del brevetto, Strauss decide di inserire il numero di lotto 501 per differenziarsi dai concorrenti: Harry David Lee e C.C. Hudson, rispettivamente Lee e Wrangler. Per lo stesso motivo sceglie di applicare un’etichetta rossa sulla tasca destra, con il nome “Levi’s” cucito in bianco, la famosa Red Tab.

Nel corso del Novecento arrivarono le principali innovazioni: la seconda tasca sul retro, i passanti per la cintura e la zip. E’ il 1937 quando appaiono per la prima volta sulla copertina di Vogue, entrando a far parte della storia della moda. Nel dopoguerra i jeans diventano un modello adatto anche per il tempo libero, indossato pure dalle donne, come Rosie the Riveter” (Rosy la Rivettatrice), eroina simbolo del crescente ruolo femminile in fabbrica.

A contribuire alla diffusione del jeans fu la penuria di stoffe che si era verificata nel corso della Seconda Guerra Mondiale, e nei tempi immediatamente successivi.

Con James Dean diventano simbolo della gioventù bruciata e del rock and roll, grazie anche a Elvis Presley e Bob Dylan. Indossati da bikers, dagli hippy e dal pubblico di Woodstock ma anche dai Mods e dai Rockers nel Regno Unito, perché simbolo delle sottoculture giovanili sovversive.

Il blue jeans, con la sua estetica semplice, assume connotazione perfino politica, perché indossato dai giovani militanti per le lotte dei diritti civili, che disprezzano la classe medio – borghese.

Nella pop culture, Levi’s segna anche gli schermi, con spot del tutto innovativi come quello di “Double Stitched”, in cui un uomo si improvvisa supereroe e salva una donna da un edificio in fiamme in uno strano mondo fatto di plastilina. Oppure Parting, che in sessanta secondi racconta la storia d’amore di una coppia destinata a separarsi per la guerra.

Negli anni 70’ si diffonde il desiderio di un denim che avesse un aspetto più attillato e sexy, con un effetto “flesh-squeezing” (stringicarne). Levi’s dà quindi il via alla campagna “Shrink to fit“, ideando gli antenati degli odierni skinny. Nascono poi i modelli a zampa o alla cavallerizza.

Solo negli anni 80’ i brand di lusso cominciano a proporne modelli sartoriali, come vuole la tendenza yuppie.

La diffusione dei jeans in URSS venne tuttavia contrastata, nonostante circolassero già a partire dal ‘57. Possedere un pantalone di buona marca evidenziava una condizione economica agiata. Indossarli in pubblico poteva comportare l’espulsione dall’università o addirittura il licenziamento. Il desiderio però dei cittadini russi di acquistarli favorì il mercato nero.

La pratica del contrabbando era punita con l’arresto. Qualcuno venne addirittura condannato a morte, come Rokotov e Fajbisenko. Uno dei capi d’accusa era: traffico di jeans.

In loro onore è nata una marca con i loro nomi: Rokotov&Fainberg. Oggi, molti dei maggiori imprenditori russi, da Tinkov ad Ajzenšpis, iniziarono la loro carriera dedicandosi proprio al contrabbando di jeans.

Tutto sul denim: come e dove viene prodotto, perché è diverso dal jeans

Per chi poco se ne intende potrebbero sembrare la stessa cosa, ma in realtà vi è una differenza abissale per gli storici.

Il denim sarebbe il tessuto con la quale vengono cuciti i jeans, ma non sono sempre stati sinonimi. Cambierebbe infatti il colore delle fibre: nel denim il filo dell’ordito era blu, mentre quello della trama era bianco o écru, mentre nel jeans trama e ordito erano dello stesso colore, quasi sempre blu.

A confermare ciò “Stample cotton fabrics” di John Hoye, pubblicato in America nel 1942, un manuale nel campo dei tessuti. Questo si sofferma appunto sulla differenza tra questi capi e definisce il jeans come una saia di cotone, con ordito e trama dello stesso colore, adatto per pantaloni, abiti sportivi e anche uniformi per medici e infermieri. Il denim è più adatto alla fattura di abiti da lavoro pesante.

Oggi il denim è conosciuto per essere un tessuto composto da cotone a struttura serrata, robusto, lavorato su armatura saia, a volte anche su “corda rotta”. Viene prodotto a once: sopra le 14-14,5 il jeans è definito pesante, al di sotto leggero.

Come viene prodotto il jeans? La fibra di cotone, dopo essere stata districata, pulita e mescolata, viene sottoposta alla cardatura, coì da separare le fibre. I cordoni formati vengono tirati e ritorti e poi sottoposti a una centrifuga. Il denim viene tinto quando è ancora filo, arrotolato su delle bobine, tramite un processo di bagno e ossidazione che consente alle fibre di assorbire al meglio il colore. Poi si passa tessitura: ogni filo passa attraverso un anello, detto liccio, che può essere sollevato e abbassato. Appena confezionato il tessuto è molto rigido e reagisce al primo lavaggio stringendosi del 10-12%.

Se vi dicessimo che l’egemonia del denim appartiene al Pakistan probabilmente non ci credereste. A rivelarcelo è Business of Fashion che ha condotto un’indagine con Faisal Ahmed, CEO di Artistic Denim Mills (ADM), produttore di denim pakistano. Se nel vostro armadio avete un jeans di Zara, Primark, Calvin Klein, Wrangler e Lee, sappiate che, probabilmente, l’ha prodotto lui.

Nel mondo del fashion, il denim pakistano è riconosciuto per la sua ottima fattura, perché il filato è particolarmente resistente, garantendo la durabilità nel tempo. Inoltre, offre agli importatori il miglior rapporto qualità-prezzo

Per il Centro per la promozione delle importazioni dai paesi in via di sviluppo (CBI) «La Cina non è più la principale fonte di abbigliamento in denim per l’Europa, pur restando il più grande produttore di denim del mondo». Questo perché, nel 2021, l’Occidente avrebbe interrotto i rapporti commerciali con molti rivenditori cinesi a causa dello sfruttamento dei dipendenti.

Chi ha inventato il jeans skinny?

La diffusione dei materiali sintetici ha ampliato la produzione anche di jeans, con la nascita dell’elasticizzato.

Hedi Slimane

Chi non ha mai indossato uno skinny alzi la mano. Personalmente, preferirei dimenticare gli anni della mia vita passati con indosso gli skinny, ma non possiamo negare come questi, più di tutti, abbiano influenzato i primi anni Duemila e non solo.

La diffusione degli skinny, soprattutto nel guardaroba maschile, è opera di Hedi Slimane. Questo è il direttore creativo della linea uomo di Yves Saint Laurent, ma la storia la fa insieme a Dior Homme. Fino al 2007 propone infatti una silhouette maschile sottile ed estremamente aderente, che contava anche l’uso dei jeans aderenti.

Il modello di Slimane è magro ed emaciato, l’opposto della statua greca di Versace, ma riesce a condizionare un decennio, tant’è che lo stesso Karl Lagerfeld si mette a dieta pur di riuscire a indossare i nuovi jeans Dior, dichiarando «Il mio sogno è sempre stato quello di portare la taglia 28», che in Italia sarebbe la 42.

Fanno così i Green Day, che sul palco indossano gli skinny, Nicole Kidman che indossa Dior Homme alla prima del film The Hours nel 2002, o la top model Helena Christensen.

Il sodalizio di Slimane con la musica rock va a creare poi l’estetica di quegli anni. Crea accordi con Franz Ferdinand, The Kills, The Libertines con Pete Doherty, ai tempi fidanzato di Kate Moss. In poco tempo, tutti per le strade vogliono indossare i nuovi jeans simbolo dell’indie – rock.

Hedi Slimane riesce, difatti, a imporre la sua visione di moda all’intera industria, comportando anche un cambiamento di quelli che oggi definiamo canoni di bellezza. Per i primi anni del Duemila, ciò che è magro è bello.

Come tutti i grandi imperi, anche quello degli skinny è destinato a terminare, anche se non del tutto. Nel 2012 Limane torna da Saint Laurent, ma la sua egemonia dura solo quattro anni. Un nuovo colosso sta per imporsi, il suo nome è Demna Gvasalia, ma questa è un’altra storia.

Scritto da Gaia Vetrano


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