Pro vita, l’offerta shock all’ospedale di Genova

di Carola Antonucci
5 Min.

«Ti diamo 100 euro per non abortire» è l’offerta che una ragazza ha dovuto sentire una volta recata in struttura per interrompere la gravidanza. Dapprima avvicinata nella sala d’attesa dell’ospedale di Villa Scassi di Genova da due donne “Pro Vita”, poi “supplicata” di non compiere il gesto con una morale. Il racconto dell’amica della donna. L’ospedale ne prende le distanze.

L’accaduto e l’offerta

Ci troviamo a Genova, all’ospedale Villa Scassi, dove la ragazza è stata avvicinata da due donne appartenenti al filone ideologico dei pro vita. Le due, secondo il racconto, non hanno avuto interesse a chiederle informazioni, nemmeno il nome.

È solo quando scoprono che di figli ne ha già tre che il racconto diventa più aberrante. Dopo aver fatto leva psicologicamente su quanto il gesto la potesse segnare nel profondo, la spiaggia finale: offrirle dei soldi, approfittandosi della situazione economica della ragazza.

La ragazza, di origini straniere, è stata già respinta dall’ospedale Galliera dove, giorni prima, aveva effettuato il test di gravidanza lamentando continuo malessere generale. Così la decisione di rivolgersi ad un altro ospedale, trovando l’intoppo delle attiviste da cui lo stesso ospedale prende le distanze: «L’ospedale non ha autorizzato l’ingresso di rappresentanti di associazioni pro vita nei propri ambulatori o negli spazi interni, non ne è prevista in alcun modo la presenza e, se fosse avvenuto, avremmo immediatamente chiamato la sorveglianza.»

 «L’impressione è che volessero approfittare di una situazione di fragilità facendo leva sul lato economico» lamenta l’amica che racconta l’accaduto a Repubblica. Fortunatamente nessuna delle due ragazze ha dato ascolto alle attiviste che, poco dopo, hanno smesso di far leva psicologica. I nomi delle ragazze sono anonimi, in quanto, il marito non sa della gravidanza per volere della stessa.

Ma chi sono i Pro Vita?

I Pro Vita sono i membri di un movimento da cui prendono il nome, chiamato comunemente anche “movimento antiabortista”. Sono organizzazioni sociali, politiche e di opinione che si oppongono alla pratica dell’aborto e varie pratiche genitoriali.

Da dove nasce il movimento? Secondo quanto viene esplicato dagli stessi, il concetto su cui si vuole far leva è considerare l’embrione umano come una “persona” ai primi stadi dello sviluppo. Da questo, la conseguenza che, in quanto persona, goda di diritto alla vita e l’aborto un omicidio.

Ma è davvero così? La scienza ha cercato di capire in quali stadi è ancora possibile effettuare un’interruzione di gravidanza senza sfociare in una scelta “illegale”, rispettando quindi gli standard della bioetica. Purtroppo, ogni studio scientifico è messo a dura prova o frainteso qualora determinati governi scelgono di far leva su aspetti precisi. Un esempio sono alcuni degli stati americani che hanno cercato di abbassare, tramite legge, a 6 settimane il tempo limite per abortire sulla base di studi scientifici sul battito cardiaco del feto.

La comparsa del primo battito cardiaco non è, però, l’unico fattore che viene usato nel delineare i confini etici di una possibile interruzione di gravidanza. Le ricerche scientifiche degli ultimi decenni si sono concentrate sulla percezione fetale del dolore e sulle prime risposte cerebrali del feto, pensando tali come inizio di coscienza.

Ma quando si sviluppa la coscienza? È doveroso sottolineare che, in realtà, la scienza non afferma in nessun modo che il feto abbia una sua propria coscienza intesa come consapevolezza di esistere che si presenta appieno solo nel secondo anno di vita. Si può, però, parlare di stadio primordiale in cui inizia il lungo processo che porta alla creazione di questa coscienza. Questo stadio è stato analizzato in Magnetoencephalographic signatures of conscious processing before birth del 2021.

Concludendo

Uno studio del 2011, segnala come l’aborto non sicuro sia responsabile della morte di una donna su 8 a livello mondiale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima, recentemente, che ogni anno siano tra 4.7–13.2% le donne che muoiono a causa di aborto non sicuro.

Per questo motivo, il diritto all’aborto è uno dei primi diritti che dobbiamo tenere ben saldo. Rivolgersi, a causa di associazioni politiche o attiviste, a dei centri non sicuri e illegali causa la morte di centinaia di donne. Impensabile se si pensi che esiste una legge che tuteli tale pratica.

In Italia, una donna, può richiedere l’aborto nei primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari, regolamentato dalla legge 194/78.


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