79 persone sono morte suicide in prigione in Italia e nessuno ne parla. Ecco le loro storie.
74 uomini e 5 donne nel 2022 si sono uccise dietro le sbarre, piuttosto che continuare a vivere circondate dal mare di silenzio e oppressi dal tempo che, in prigione, sembra non passare mai.
I dati delle morti in prigione:
Si tratta del tasso più alto del decennio, come segnala il Garante delle persone private della libertà personale nel suo rapporto annuale. È lo stesso presidente Mauro Palma a sottolinearlo: in confronto al 2012 il numero è aumentato di 23 persone. Si ritorna così a parlare delle condizioni delle prigioni e del perché la percentuale dei suicidi in Italia nelle carceri sia 15 volte più alta in confronto all’Europa.
Una strage che dal 2012 fino ad oggi ha colpito ben 583 persone. La maggior parte si è tolta la vita proprio nel periodo delle feste.
Come scrive il Garante sono settimane in cui “diminuisce negli Istituti la presenza di personale e di soggetti della comunità esterna e si riducono le attività, a cominciare da quella scolastica“.

Solo quest’anno, 33 persone avevano un’età compresa tra i 26 ai 39 anni. 28 le vittime tra i 40 e i 45 anni e solo 9 quelle tra i 18 e i 25 anni. Il più anziano dei reclusi aveva 83 anni e la sua condanna sarebbe terminata nel 2030. Si è ucciso mentre si trovava in isolamento Covid.
Il 64,6% di questi era stato condannato per reati contro il patrimonio. Il 59,5%, invece, per crimini contro la persona o in famiglia. Solo 36 all’ergastolo, ben 39 sarebbero quelli con pene tra i 3 e i 5 anni, mentre 31 erano ancora in attesa di giudizio.
Appare ancora più evidente, alla luce dei dati, il problema delle strutture carcerarie in Italia. Un caso di suicidio su cinque avviene nei primi dieci giorni di detenzione, il 62% nei primi sei mesi, un quarto nei primi tre.
Le storie:
Il più giovane di tutti è Giacomo Trimarco, e si trovava in prigione per il furto di un telefono. Aveva 21 anni e si è suicidato al San Vittore, nonostante da otto mesi fosse destinato al REMS, ossia la Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, struttura dove sono ospitati tutti coloro che compiono reati e soffrono di disturbi mentali.
Giacomo aveva un disturbo borderline ma il trasferimento non è mai stato effettuato a causa delle lunghe liste d’attesa.
La madre pensava che il carcere lo avrebbe tenuto lontano dall’alcol ma invece, come sottolinea lei stessa “di Giacomo non importava nulla a nessuno, dal Sert ai servizi psichiatrici”.
Secondo l’autopsia, le inalazioni di butano hanno causato la morte. Spesso i detenuti utilizzano impropriamente le bombolette spray perché le sostanze all’interno hanno lo stesso effetto dell’eroina.
Stefania, la mamma, lo ricorda come un ragazzo dalla voce di un angelo, con la passione per il flauto e il mondo dei tatuaggi.

Come lui anche Simone Melardi, 44 anni, aspettava di poter entrare in una comunità psichiatrica, data la sua psicosi.
Come racconta la madre faceva avanti e indietro dagli ospedali da quando aveva 16. “Ebbe una grave delusione amorosa durante il servizio militare, gli fecero un tso e da allora è cambiato”, queste le sue parole.
Simone si trovava nella prigione di Caltagirone per aver rubato un portafogli e un telefono a teatro, nonostante li avesse subito restituiti. Avevano assicurato un regime di massima sorveglianza eppure, come sottolinea la usa legale Rita Lucia Faro, così non è stato.
Ma non è il solo abbandonato dalle autorità: è agosto quando Roberto Pasquale Vitale tenta il suicidio stringendosi il lenzuolo attorno al collo per il troppo caldo che sentiva nella sua cella a Palermo. È rimasto in coma per 18 giorni.
Come Roberto, l’89% dei suicidi è per impiccagione.
Tra questi Abderraza Dahou, ventiseienne arrestato per aver trasportato della droga mentre era in motorino. Lui è uno dei tanti ragazzi di origine straniera presenti nella lista, come Aziz Rouam, bloccato a Rimini dove viveva senza famiglia e senza legami. La sua storia è faro della tragicità delle carceri nel nostro paese.
Come riporta l’avvocato Lucia Campana, la prima sezione del carcere in cui si trovava doveva essere chiusa già nel 2021 causa delle condizioni igienico sanitarie catastrofiche. La cucina si trovava nello stesso spazio dove gli altri detenuti defecavano.

Prima di diventare numeri ed essere internati, c’erano sogni e desideri, come quello di Manuela Agosta di voler aprire un bar all’estero, come aveva detto lei stessa al giudice, secondo il racconto del suo legale Vincenzo Melilla. Era stata condannata per spaccio: nel giro di 48 ore si è tolta la vita. Aveva solo 29 anni.
Anche Donatella Hodo era stata arrestata per crimini con la droga. Mancava poco prima che uscisse. Lascia un biglietto al suo fidanzato:
“Sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita ma ho paura di perderti e non me lo perdonerei. Perdonami Leo”.
Il suo caso fa la storia, perché lo stesso magistrato di Sorveglianza, Vincenzo Semeraro, ha affermato:
“A Donatella volevo particolarmente bene, non è vero che i magistrati non si affezionino ai detenuti. La responsabilità della sua morte è prima di tutto mia perché faccio parte del sistema che ha fallito”.
Queste sono solo alcune delle storie di coloro che hanno messo piede dietro le sbarre e che dalla loro cella usciranno senza più rivedere la luce del Sole.
Di suicidio in prigione ne parlava De André nella “Ballata del Miché”. Nella speranza che queste persone non siano dimenticate come Miché, che “nella fossa comune cadrà senza il prete e la messa perché d’un suicida non hanno pietà”, ma che al contrario il loro ricordo possa servire come monito per il futuro.
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