Politicamente corretto: non siamo liberi di dire tutto?

di Alessia Giurintano
5 Min.

Gli ultimi decenni sono stati attraversati dall’onda violenta del politicamente corretto. A metà fra la censura e la libertà d’espressione, vediamo qui come si spiega questo vento di cambiamento, che sembra portare con sé parecchie catene.

Il passaggio dallo stato neoliberista a quello contemporaneo, ha modificato anche la trasmissione dei modelli. Se il primo aveva elevato l’ideale dell‘imprenditore coraggioso, che rischia; lo Stato contemporaneo ha sotto di sé individui angosciati, incerti, dipendenti.

Timorosi, subiscono il senso di spaesamento che consegue i grandi cambiamenti. Individui in relazione, corpi fragili e plasmabili, sono posti davanti ad una scelta che di fatto li lascia immobili.

Per quanto riguarda l’Italia, essa è stata protagonista, recentemente, ma anche più indietro negli anni, di uno “stato d’emergenza”. Una crisi emergenziale, che ha reso necessario, salvifico e indispensabile, l’intervento dello Stato.

Posto in una condizione di sorveglianza, l’apparato istituzionale ha mostrato se stesso come l’ancora di salvezza, e di fatto applicando dispositivi e pratiche giustificate dal periodo emergenziale. Si è verificata così una ingerenza statale massiccia nella vita dei suoi cittadini.

Il politicamente corretto e l’origine delle tensioni

Se di qualcosa non si può parlare, c’è un problema: che fine fa la democrazia?

Richiamando, come sopra, il periodo d’emergenza che ha affrontato l’Italia, fra gli altri, con la pandemia; si può notare quanto la libertà d’espressione fosse in quel periodo fortemente soffocata.

Dato il ruolo dello Stato, salvifico, imprescindibile, autorevole, tutte le posizioni altre, lontane da quella ufficiale, erano considerate fake news.

Di più, attuando uno stato di sorveglianza con il “tutti contro tutti“, il cittadino assumeva il ruolo di sorvegliante, e in nome di un senso di responsabilità “giusto”, puntava il dito contro un altro, la cui condotta era considerata “deviante“.

Una sorta di superiorità morale riempì i corpi di chi sceglieva di aderire alla norma per il bene comune. Ben saldi all’idea che in un momento d’emergenza, per quanto transitorio ed eccezionale, si dovesse far fronte comune, il dibattito veniva meno.

Presi a dogma le parole degli esperti, quali i virologi, la scienza dura divenne il braccio destro dello Stato. È forse da qui che il significato delle parole cambia, e subisce una risemantizzazione. Con questo termine, si intende il cambiamento di significato di una parola, che svuotandosi di senso, prende una nuova forma.

La definizione di politicamente corretto secondo Jonathan Friedman

Il linguaggio assume un ruolo attivo nella politica e nelle questioni di potere. A tal proposito, Jonathan Friedman ha proposto in un saggio del 2018 un’analisi del politicamente corretto.

Con questo termine egli definisce:

«L’utilizzo politico dl linguaggio tale da produrre un conformismo tra la popolazione a sostegno di determinate questioni, spesso funzionali agli interessi delle élite in ascesa».

Strumento di affermazione di una nuova élite globale, questo produce l’adesione ad una visione del mondo ritenuta superiore dal punto di vista morale. Parla di “uso politico della vergogna“, dove il principio presunto di moralità è posto a fondamento di valore di pareri ed opinioni altre.

Aggiunge, inoltre, che il politicamente corretto è uno strumento di controllo capace di produrre consenso.

Il politicamente corretto provoca una moralizzazione dell’universo sociale e una dicotomizzazione tra cosa si può dire e cosa no. Nel suo saggio conclude che:

«Il politicamente corretto è radicato nella sempre più diffusa cultura della vergogna. Questa si basa sulla presunta esistenza di alcune auto-evidenti verità morali sul mondo, il che implica che il trasgressore, a seconda delle sue caratteristiche, sia oggetto di scherno o di paura, sostituendo così con un giudizio morale, ogni discussione e legittimo processo dialettico».

L’importanza di ascoltare il pensiero altrui

Varrebbe la pena domandarsi cosa accade quando le parole perdono il loro significato, svuotandosi e assumendone uno nuovo. Se, come è caro all’antropologia, le categorie di senso sono generate e generanti: cosa questa inversione ci rivela della contemporaneità?

Il potere delle parole è interessato, mai neutro. Strumento di controllo, anche da parte del governo, il politicamente corretto è una barriera alla libertà.

Fonti:

Boni S. Governamentalità emergenziale in pandemia e guerra;

Cammelli M.G, in Antropologia di una pandemia, Il potere delle parole. Politicamente corretto, vergogna, morale;

Friedman J., Politicamente corretto. Il conformismo morale come regime.


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