Perché ci sono stazioni di polizia cinesi in Italia?

di Giorgia Lelii
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Secondo un rapporto dell’ONG spagnola Safeguard Defenders, che si occupa di diritti umani nei paesi asiatici, sarebbero all’incirca undici le stazioni di polizia cinesi in Italia. Le stazioni di polizia sono presenti ad oggi in diverse città, come Milano e Roma.

La prima sede è stata istituita a Milano nel 2016, con il compito di aiutare i cittadini cinesi in varie operazioni burocratiche (come rinnovo di patente o passaporto). Ai tempi era forse l’unica ad aver ricevuto l’autorizzazione ad aprire, mentre delle altre invece non se ne conosceva nemmeno l’esistenza.

Presso il Dipartimento della pubblica sicurezza non risulta alcuna autorizzazione in ordine all’attività di centri cinesi per il disbrigo di pratiche in Italia e assicuro che le forze di polizia, insieme all’ intelligence, attueranno un monitoraggio con la massima attenzione, io lo seguirò personalmente e non escludo provvedimenti sanzionatori in caso di illegalità riscontrate.

Matteo Piantedosi, Ministro dell’Interno italiano

Piantedosi ha inoltre aggiunto:

Questa vicenda non ha alcuna attinenza con gli accordi di cooperazione di polizia ed i pattugliamenti congiunti tra Italia e Cina che si sono svolti dal 2016 al 2019. Riguardo all’apertura a Prato di una presunta stazione di polizia cinese, la polizia ha immediatamente avviato accertamenti, dai quali è emerso che lo scorso marzo un’associazione culturale cinese ha aperto una sorta di sportello per il disbrigo di pratiche amministrative rivolto ai connazionali in Italia, nonché un servizio per il rinnovo di patenti cinesi e per le successioni. Ad oggi risulta che il centro non fornisca più questi servizi verso i quali c’è stato peraltro uno scarso interesse, essendo pervenute solo 4 richieste.

Un altro oscuro motivo potrebbe tuttavia celarsi dietro le “stazioni di polizia cinesi”, ossia la cosiddetta “Fox hunt” (Caccia alla volpe). Con “Fox Hunt” si intende una grande campagna atta a perseguire funzionari corrotti fuggiti all’estero, apparentemente voluta dal Presidente cinese Xi Jinping.

Secondo Laura Hart, direttrice della campagna della ONG, i metodi della “Fox hunt” andrebbero oltre l’illegalità morale. Il risultato sarebbe infatti quello di «molestare, minacciare, intimidire e spingere al rientro in Cina particolari obiettivi. Inizialmente con telefonate, poi con minacce ai parenti rimasti in Cina. Infine l’impiego di agenti sotto copertura all’estero, che possono arrivare anche a pratiche di adescamento e rapimento».

Il rapporto indica almeno un caso accertato di intimidazione, che avrebbe portato al rientro di un cittadino cinese senza passare per i canali legali dell’estradizione. Si tratterebbe di un operaio accusato di appropriazione indebita e residente da 13 anni in Italia, di cui ormai si sono perse le tracce. Secondo la ONG, che si basa su informazioni provenienti dallo stesso governo cinese, sarebbero oltre 210.000 i cinesi “convinti” a rientrare in Cina.

Nonostante le continue rassicurazioni del governo cinese riguardo la natura dei centri di di polizia, indicati come semplici uffici di supporto ai connazionali gestiti da volontari, Safeguard Defenders ha però potuto confermare che almeno 135 dipendenti della varie stazioni sono regolarmente stipendiati.

Mappa dell’ONG, Safeguard Defenders (https://safeguarddefenders.com)

Nella prima ricerca di settembre, Safeguard Defenders aveva riferito dell’esistenza di almeno 54 stazioni di questo tipo nel mondo. Ciò ha portato ad indagini in almeno 12 Paesi, tra cui Canada (che dopo un ciclo di accertamenti ne ha ordinato la chiusura), Germania e Paesi Bassi. Nel più recente aggiornamento figurano altre 48 stazioni, alcune delle quali presenti in diversi Paesi europei come Francia, Olanda, Spagna, Croazia, Serbia e Romania.

Scritto da Giorgia Lelii


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