Patto di Londra: l’Italia prende parte alla Grande guerra

di Emanuele Lo Giudice
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Il 28 Luglio 1914 scoppiava in Europa la Prima guerra mondiale e l’Italia, in stretta alleanza con gli imperi centrali, si dichiarava prontamente neutrale. Cosa portò l’Italia in guerra e quali furono le conseguenze del Patto di Londra?

Guglielmo Imperiali di Francavilla, firmatario del Patto di Londra per l’Italia

26 Aprile 1915, un patto segreto firmato a Londra e l’entrata in guerra di Roma contro gli imperi centrali della Triplice alleanza.

La minoranza interventista d’Italia nel 1915 era riuscita a vincere nel dibattito politico italiano e aveva spinto il Regno d’Italia al confronto con le altre potenze europee, nonostante la consapevolezza di un esercito non completamente pronto. Cadorna, generale dell’esercito italiano, sperava infatti in un’operazione militare nella primavera perché “altrimenti i militari sarebbero stati sprovvisti di cappotti”.

I mesi che il Regno visse prima dell’entrata nel conflitto videro un pesante dibattito interno tra i due schieramenti che fratturavano l’opinione pubblica nazionale: interventisti e neutralisti. Giovanni Giolitti, già Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia (1892-93, 1903-05, 1906-09, 1911-14), divenne ben presto l’esponente di spicco del neutralismo italiano e perseguì con pugno duro la sua politica neutralista fino all’evidente precipitazione dell’Italia nel conflitto.

I neutralisti, sebbene in numero esiguo in Parlamento, godendo dell’appoggio delle industrie e dei giornali più in voga, riuscirono a spezzare la maggioranza in opposizione e spinsero il Governo Salandra a intavolare discussioni con gli Alleati per l’entrata in guerra del Regno d’Italia.

Parallelamente il governo italiano avviò discussioni con l’Austria per i compensi ad esso destinati secondo l’accordo della Triplice alleanza. Il 26 Aprile 1915, il marchese Imperiali di Francavilla, Ambasciatore d’Italia a Londra, firmò il patto con l’Intesa.

Roma-Vienna-Berlino, dalla Triplice alleanza alla neutralità

Una cartolina celebra la Triplice ricalcando i motti “l’unione fa la forza” (Einigkeit macht stark) e “forze unite” (Viribus unitis).

Allo scoppio delle ostilità e alla mobilitazione degli eserciti europei dopo l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, l’Italia era parte di un patto militare di natura difensiva. Stipulato il 20 Maggio 1882, il patto della Triplice Alleanza impegnò per 33 anni il Regno d’Italia in un’alleanza difensiva con la Germania e l’Austria-Ungheria.

L’isolamento politico della Francia e la rivalsa europea del neonato Regno d’Italia spinsero Carlo di Robilant, Ambasciatore d’Italia in Austria, a firmare il patto con Vienna e Berlino. L’accordo prevedeva il soccorso austriaco e tedesco all’Italia nel caso di attacco francese, delineando una natura difensiva che si protrasse fino all’inizio della Prima guerra mondiale, condizione che rese possibile la dichiarazione di neutralità da parte del Governo di Roma.

Il patto prevedeva inoltre che, se una delle parti contraenti fosse stata attaccata da altre potenze, le restanti parti firmatarie sarebbero corse in supporto. Era, infine, prevista la “neutralità benevola” delle contraenti nel caso in cui una delle tre parti, se minacciata, avesse iniziato una guerra.

Tra il 1882 e il 1912 l’alleanza fu rinnovata diverse volte. Sono cinque i Trattati che si susseguirono e, seppur differenti, si ritrovavano tutti largamente nei dettami di quello stipulato a Vienna nel 1882.

All’indomani dell’inizi della guerra, il Regno d’Italia si guardò bene dal mobilitare l’esercito per correre in supporto a Vienna e Berlino. Già l’anno precedente Giolitti, venuto a conoscenza delle intenzioni di Vienna nei confronti della Serbia, aveva avvisato l’Austria che l’Italia non avrebbe seguito gli imperi centrali in una guerra d’aggressione se questa fosse scoppiata. Tra l’altro, Giolitti ricordò che l’accordo prevedeva che, qualora una delle contraenti fosse entrata in guerra, le restanti parti firmatarie sarebbero dovute essere informate preventivamente per concordarne i compensi. L’Austria, prima dell’ultimatum alla Serbia, non aveva comunicato nulla a Roma.

Dalla neutralità al Patto di Londra

Sidney Sonnino, Ministro degli Esteri del Regno d’Italia (1914-1919) alla firma del Patto di Londra.

Fu la natura difensiva della Triplice alleanza a permettere all’Italia di dichiarare la propria neutralità allo scoppio della Prima guerra mondiale. La posizione italiana, che rispecchiava in toto uno dei punti cardine del Patto stipulato nel 1882, trovò paradossalmente appoggio iniziale da Vienna e Berlino, le quali ricevettero comunque la rassicurazione che “l’Italia sarebbe entrata in guerra qualora ne avesse potuto giovare favorevolmente e secondo stipulati accordi”.

Lo sguardo alle terre ancora sotto influenza austriache e l’espansione dell’irredentismo spaccarono la politica e l’opinione pubblica nazionale nei primi mesi di guerra, gli interventisti e i neutralisti si scontrarono fino al Maggio del 1915, quando il Regno d’Italia avviò negoziati con gli Alleati a discapito della Triplice alleanza.

La chiarezza del giovamento che il Regno d’Italia avrebbe avuto nel caso di vittoria dell’Intesa saziava l’appetito degli irredentisti e ampliava il divario, già da anni presente, tra il Regno e gli imperi centrali, economicamente e militarmente molto più avanti rispetto a Roma. Il Governo Salandra firmò il Patto di Londra (se ne venne a conoscenza solo nel 1917, quando i bolscevichi resero pubblici tutti gli atti e gli accordi dell’impero russo, creando imbarazzo tra le potenze europee), tenendolo lontano dagli occhi del Parlamento, a larga maggioranza neutrale.

Il 23 Maggio 1915 Roma inviò un ultimatum a Vienna e solo 24 ore dopo dichiarò guerra all’Austria. L’Italia abbandonava definitivamente la propria neutralità, denunciando l’accordo della Triplice Alleanza ed entrando consapevolmente in una guerra che sì l’avrebbe vista presente ai negoziati della pace tra le potenze vincitrici, ma che l’avrebbe segnata nel profondo, soprattutto per le vicende del 1917 (disfatta di Caporetto).

La “vittoria mutilata”

Se le condizioni e le promesse in seno al Patto di Londra portarono l’Italia a dichiarare guerra all’Austria nel 1915 (alla Germania l’anno successivo) nella speranza di vedere compensi territoriali, poco rispettata è stata l’attribuzione di questi nella Conferenza di pace di Parigi. Lì l’Italia si trovò a fare i conti con l’ottenimento di una sola parte delle terre richieste.

L’ostruzionismo di Wilson, Presidente degli Stati Uniti, portò ad un’applicazione non completa del memorandum di Londra, essendo gli Stati Uniti decisi a limitare l’espansione italiana nell’Adriatico in favore di uno Stato che riunisse gli slavi del Sud.

Non era solo l’Italia ad essere limitata, ma anche l’espansionismo russo che guardava ai Balcani come terra d’influenza propria e che sosteneva la Serbia, protagonista principale dello scoppio della Grande guerra. Il non rispetto completo delle promesse del Patto di Londra portò gli animi italiani alla delusione, i quali guardavano alle terre irridente come a qualcosa di proprio, ma lungi dall’essere interamente compreso nel quadro del Regno d’Italia.

Si inizia a parlare nel Regno di una “vittoria mutilata”, la quale comprende tutti gli scontenti irredentisti e revanscisti del primo dopoguerra, alimentati dalle promesse fatte a Londra ma sconfessati a Versailles, che entrarono a far parte della politica estera italiana negli anni a seguire, durante i quali fu proprio il fascismo a farsene portatore.

Scritto da Emanuele Lo Giudice


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