3 minuti di letteratura: “Voi che per li occhi mi passaste ‘l core” di Guido Cavalcanti

di Costanza Maugeri
7 Min.

Dopo aver analizzato parte del III canto della Divina Commedia (vi lasciamo qui il link, nel caso in cui ve lo foste persi), i nostri 3 minuti di letteratura di oggi si spostano verso un altro orizzonte stilnovista.

Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.

E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.

Questa vertù d’amor che m’ha disfatto
da’ vostr’ occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.

Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto,
che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ’l cor nel lato manco.

Parafrasi

Voi che attraverso gli occhi mi avete trapassato il cuore

e avete destato la mente che dormiva, guardate la mia vita angosciosa,

che Amore distrugge tra i sospiri.

Egli viene colpendo con così grande forza

che i miei deboli spiriti vitali fuggono via:

rimane solo il mio aspetto esteriore, in mio dominio

e un filo di voce ad esprimere il dolore.

Questa virtù d’amore che mi ha distrutto

si è mossa veloce dai vostri occhi nobili:

mi ha scagliato una freccia nel fianco

Il colpo è giunto così diretto al primo tiro

che l’anima si è scossa con un tremito

vedendo il cuore ucciso sul lato sinistro.

Guido Cavalcanti: il poeta che canta l’amore che uccide

CAVAL

«Un giovane gentile, figlio di messer Cavalcante Cavalcanti, nobile cavaliere, cortese e ardito ma sdegnoso e solitario e intento allo studio»

cosi lo descrive Boccaccio

Guido Cavalcanti è la voce fuori dal coro del dolce Stil Novo, è il primo poeta nella storia della letteratura italiana a verseggiare un amore che distrugge, che rende servi senza alcuna possibilità di potersi opporre al sentimento:

Questa vostra servente

vien per istar con voi

partita da colui

che fu servo d’amore.

Questa vostra ancella(la poesia di Cavalcanti)

viene per rimanere con voi(la donna amata da Cavalcanti)

essendosi mossa da colui

che fu schiavo d’amore

da “Perch’i’ no spero di tornar giammai

Per Cavalcanti, la donna ha in sé un valore eccessivo che fa tremare l’anima del poeta, infondendo in lui una lacerante angoscia che conduce alla morte.

Immaginiamolo così il poeta: un uomo che, non appena incontra lo sguardo dell’amata, sente il cuore straziato da paura, non riesce a parlare, a narrare la sua “magica ” visione.

L’anima trema così forte da far cadere il poeta al suolo con l’anima disgregata e il corpo immerso nello stesso sangue del cuore che amò.

Lo sguardo amato che trapassa il cuore

Il sonetto che oggi vi proponiamo intriso di tragica teatralità appare come l’emblema dell’amore distruttivo.

La scena che Cavalcanti rende poesia è una drammatizzazione che cresce sempre più forte e che nell’ultimo verso muore, richiudendosi in se stessa, così come il poeta trafitto dalla freccia che la donna gli ha scagliato “da’ vostr occhi gentil”

“Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto,
che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ’l cor nel lato manco”.

Il colpo è giunto così diretto al primo tiro

che l’anima si è scossa con un tremito

vedendo il cuore ucciso sul lato sinistro.

Sfumatura caratterizzante della Poesia di Cavalcanti, influenzata dalla filosofia aristotelica, è il ruolo centrale dei “deboletti spiriti”, ossia degli enti che controllano le facoltà dell’essere umano.

Essi fuggono via quando il poeta vede l’amata, lasciando sotto il dominio dell’uomo solo il corpo nella sua apparenza, come se gli spiriti vitali si muovessero in maniera indipendente dal corpo a cui appartengono, rincorrendo la visione della donna.

E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria


Egli viene colpendo con così grande forza

che i miei deboli spiriti vitali fuggono via:

rimane solo il mio aspetto esteriore, in mio dominio

Esteriormente questo turbine emotivo si esprime con l’afasia, ossia l’incapacità di proferire parola che non sia di dolore, scrive Cavalcanti.

“e voce alquanta, che parla dolore.”

e un filo di voce ad esprimere il dolore.

Scritto da Costanza Maugeri


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