traffico esseri umani

Oggi è la giornata internazionale contro il traffico di esseri umani

Un problema che, forse troppo spesso, ci sembra invisibile

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Il 30 luglio ricorre la giornata mondiale contro il traffico di esseri umani, un fenomeno che ancora oggi affligge in maniera preoccupante diverse zone del globo.

A Gennaio 2023 l’UNODC – l’ufficio delle Nazioni Unite che si occupa del contrasto alla droga e della prevenzione dei crimini – ha pubblicato un report globale relativo alle tratte di esseri umani.

Il dossier – il settimo realizzato dall’UNODC a partire dal 2009 – analizza i dati relativi al periodo 2018-2021.  

La panoramica proposta dal rapporto mostra un segnale che, almeno all’apparenza, sembra piuttosto ottimistico. Difatti, rispetto al 2019 è stata registrata una riduzione delle vittime pari all’11%. Una statistica che inquadra quella che è la media a livello mondiale, e che dunque si differenzia a seconda delle aree geografiche. Per la precisione:

  • -59% nell’Asia orientale e nel Pacifico;
  • -40% in Nord Africa e in Medio Oriente;
  • -36% nell’America Centrale e nei Caraibi;
  • -32% in Sud America;
  • -12% nell’Africa Subsahariana.

Questo, però, non implica che ci sia necessariamente stata una diminuzione delle tratte di esseri umani. Anzi. Negli ultimi anni le autorità hanno infatti individuato l’11% di vittime in meno, e ciò potrebbe essere avvenuto a causa di 3 diversi fattori.

Il primo sarebbe relativo a una riduzione delle capacità istituzionali nell’identificazione delle vittime. Il secondo, invece, potrebbe essere strettamente correlato alla pandemia di Covid-19, che avrebbe ridotto le opportunità di spostamento anche per i trafficanti. Dalle difficoltà nello spostamento trova fondamento la terza plausibile spiegazione: a causa dei lockdown, infatti, molti affaristi avrebbero scelto località nascoste, ancora più difficili da individuare.

A diminuire, probabilmente a causa delle stesse ragioni sopra esplicate, sono state anche le vittime trafficate per sfruttamento sessuale. La riduzione è ancora più netta, con una percentuale che sfiora il 25%. Anche qui, però, pare che sia stato il Covid a giocare un ruolo cruciale. La maggior parte delle vittime in epoca pre-pandemia sarebbe stata sfruttata in spazi pubblici, bar e club. Tuttavia, con la chiusura di quest’ultimi il fenomeno potrebbe essersi spostato in luoghi meno sicuri e maggiormente nascosti.

traffico esseri umani 
sfruttamento sessuale
Vittime di tratta individuate in base al tipo di sfruttamento (Lavori forzati in giallo, Sfruttamento sessuale in blu)

A conferma di una presenza insufficiente delle istituzioni nel contrasto alle tratte di esseri umani, dal sondaggio è emerso che quasi 1 vittima su 2 riesce a scappare e mettersi in contatto con le autorità in modo autonomo.

  • 41% delle azioni iniziali intraprese dalla vittima;
  • 28% delle azioni iniziali intraprese da autorità competenti;
  • 11% delle azioni iniziali intraprese dalla comunità/sconosciuti;
  • 10% delle azioni iniziali intraprese dalla famiglia della vittima;
  • 9% delle azioni iniziali intraprese dalla società civile;
  • 1% di altre azioni.

Il contrasto alle tratte di esseri umani passa – per forza di cose – anche dai tribunali. A tal proposito, nel mondo è stato registrato un rallentamento delle condanne iniziato dal 2017. Una riduzione (media) globale del 27%, diversa quindi dalle percentuali registrate negli altri continenti:

  • -56% nell’Asia del Sud;
  • -54% nell’America Centrale e nei Caraibi;
  • -46% in Sud America.

L’impunità, dunque, rimane una delle maggiori problematiche nella lotta ai trafficanti. Spesso le istituzioni risultano essere troppo deboli per intraprendere delle indagini rigorose, dovendosi oltretutto servire di mezzi e personale adeguato. Non solo, dal momento che molti Paesi falliscono anche nel garantire la sicurezza lungo i confini nazionali, varcati giornalmente da decine di trafficanti.

Nel momento in cui la sicurezza tende a vacillare, le opportunità di tratta aumentano. E ciò accade specialmente in momenti di grandi crisi o conflitti. Nel report, l’UNODC ha potuto confermare una correlazione tra l’inizio della guerra nel Donbass (2014) e il conseguente aumento di vittime di traffico.

Nel 2015, a un anno dall’inizio del conflitto, gli ucraini trafficati rappresentavano il 4.70% delle vittime globali.  

Il cambiamento climatico si è rivelato un ulteriore fattore che sta esponendo un maggior numero di individui – sempre più vulnerabili a causa dei disastri naturali – alle tratte. Nel 2021 sono state 21.3 milioni le persone sfollate a causa dei cambiamenti climatici, il più delle volte costrette a emigrare verso altri Paesi.

Inoltre, dall’analisi dei più recenti casi giudiziari è sorto un grande divario per quanto riguarda i diversi tipi di violenza subita da uomini, donne e bambini. Le donne sono soggette a violenza fisica “esplicita” e a “estrema violenza” a un ritmo 3 volte superiore rispetto agli uomini. I bambini, invece, subiscono violenza fisica due volte tanto rispetto agli adulti.

Esaminando la panoramica generale del fenomeno, il report evidenzia come le vittime donne rappresentino il 42% del totale. Seguono gli uomini con il 23%, ed infine bambine e bambini, rispettivamente 18% e 17%.

Tra i trafficanti condannati, invece, il 58% sono uomini e il 40% donne.

Infine, l’UNODC ha differenziato i casi a seconda della forma di sfruttamento, stilando un’apposita classifica:

  • 0.2% Traffico per commercio di organi;
  • 0.3% Traffico per adozioni illegali;
  • 0.7% Traffico per sfruttamento dell’accattonaggio;
  • 0.9% Traffico per matrimonio forzato;
  • 10.2% Traffico per attività criminale forzata;
  • 10.3% Traffico per diverse forme di sfruttamento;
  • 38.7% Traffico per sfruttamento sessuale;
  • 38.8% Traffico per lavori forzati.

Ad oggi, il traffico di esseri umani è un business economico da miliardi di euro. Solo negli ultimi anni, infatti, le vittime sono state quasi 28 milioni. La maggior parte delle quali si trovano in luoghi del pianeta costantemente sottoposti a crisi politiche e disastri naturali.

“Dobbiamo fare meglio. Non possiamo permettere che questo crimine immorale sia affrontato con indifferenza e impunità”.

Ghada Waly, direttrice esecutiva dell’UNODC.

L’appello – sacrosanto – di Ghada Waly è l’ennesimo tentativo di portare a galla un problema per cui non si sta combattendo abbastanza. Ed è fondamentale che i potenti del mondo lo comprendano il prima possibile.

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