Nel 2066 il buco dell’ozono si richiuderà del tutto?

di Giorgia Lelii
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Si parte col dire che lo strato di ozono è una parte sottile dell’atmosfera terrestre, che assorbe la maggior parte della radiazione ultravioletta del Sole. Riducendosi, quindi, le radiazioni solari possono raggiungere la superficie, causando potenziali danni all’ambiente e agli organismi viventi, tra cui anche noi. Infatti, gli Uv possono danneggiare il dna e aumentare così il rischio a lungo termine di problemi di salute, come i tumori della pelle.

Esauritosi principalmente per i clorofluorocarburi (Cfc), contenuti comunemente in bombolette spray, frigoriferi, isolanti in schiuma e condizionatori, gli scienziati scoprirono questo buco nel 1985. Successivamente, nel 1987, molte nazioni si sono impregnate a eliminare gradualmente le sostanze chimiche dannose con il Protocollo di Montreal. Ad oggi, esso ha contribuito ad eliminare circa il 99% delle sostanze vietate.

In un rapporto pubblicato dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, i ricercatori hanno riscontrato un significativo ispessimento dello strato di ozono. Stando alle previsioni del nuovo rapporto, i valori di ozono del 1980 si ristabilizzeranno. Intorno al 2066 sopra l’Antartide, entro il 2045 sopra l’Artico e nel 2040 per il resto del mondo.

L’Onu afferma che l’azione intrapresa sullo strato di ozono è stata anche un’arma contro la crisi climatica. I CFC sono anche gas serra, e il loro uso continuato e incontrollato avrebbe innalzato le temperature globali di un grado centigrado entro la metà del secolo. Sicuramente, avrebbe peggiorato una situazione già disastrosa in quanto i gas che riscaldano il pianeta non stanno ancora diminuendo. 

Raggiungere quest’obiettivo, tuttavia, non è stato affatto facile. Infatti, nel 2018, gli scienziati hanno rilevato un’impennata del 25% di una sostanza chimica vietata che impoverisce l’ozono, il triclorofluorometano. Hanno individuato il problema nelle fabbriche della Cina nord-orientale che lo emettevano nella produzione di schiuma isolante. Dopo le pressioni esercitate dalla comunità internazionale e dal governo cinese, “le emissioni sono ora diminuite“. Lo ha dichiarato Paul Newman, scienziato capo per le scienze della terra presso il Goddard Space Flight Center della NASA e co-presidente del gruppo di valutazione scientifica delle Nazioni Unite.

Inoltre, gli incendi australiani del 2019 e del 2020 hanno inviato particelle di fumi umidi nella stratosfera, intaccando lo strato di ozono con delle reazioni chimiche. I ricercatori hanno affermato che i grandi incendi potrebbero rappresentare una minaccia persistente per i livelli di ozono globale.

L’azione sull’ozono costituisce un precedente per l’azione per il clima. Il nostro successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che consumano ozono ci mostra cosa si può e si deve fare con urgenza per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e quindi limitare l’aumento della temperatura.

Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale

Scritto da Giorgia Lelii


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