Ragazza morta alla Iulm, colpa della società competitiva?

di Alessio Pio Pierro
6 Min.

Purtroppo siamo tutti al corrente della vicenda accaduta mercoledì scorso a Milano. Una ragazza di 20 anni si è tolta la vita nei bagni della IULM lasciando un biglietto. Con esso confessa di ritenersi delusa del suo percorso accademico e di non riuscire più a subire la pressione. Una tragedia che alimenta la già ampiamente discussa polemica riguardo la visione tossica del successo. Questa regna nel mondo universitario e le pressioni che ne conseguono.

Non solo alla Iulm, storie di un fenomeno in crescita

Questa però, non è una storia nuova, anzi è un copione che si ripete da tempo, indipindantemente dai fatti della IULM. Negli ultimi mesi del 2022 sono stati diversi, forse troppi, i tragici casi di morte fra giovani universitari, ma l’attenzione mediatica si è limitata ai pochi giorni successivi alle vicende.

Ne è un esempio ciò che è successo vicino Palermo lo scorso 16 Gennaio, un fatto di cronaca che però è caduto nel silenzio. Nella notte fra il 15 ed il 16 Gennaio Francesco Mancuso, studente dell’università di Palermo di 22 anni, si è tolto la vita. Pochi giorni dopo l’inizio della sessione invernale avrebbe dovuto sostenere un esame che da tempo rimandava, cioè quello di “Economia e Gestione degli intermediari finanziari”. Per gli standard sociali basati sulla competizione, Francesco è giustificato a sentirsi un fallimento perchè è indietro con le materie da dare.

Allora decide di allontanarsi nella sua casa di villeggiatura in mezzo al nulla dove andava spesso a studiare e, prima di suicidarsi, lascia un biglietto. Si tratta di un elenco di quelli che sembrano essere gli ambiti nei quali pensava di aver sbagliato tutto: in politica, all’università e nelle relazioni sociali. Infatti lui pareva essere, dai racconti degli amici, un grande amante della politica e una persona molto estroversa.

Ma, a causa della confusione e dall’ansia dovute al ritardo nel suo percorso di studi, ultimamente era cambiato. Il dipartimento di Economia e l’università di Palermo non hanno commentato niente a riguardo. Solo grazie a proteste di studenti e amici di Francesco avvenute fino a pochi giorni fa, gli è stata conferita una laurea ad honorem postuma.

Un’altra storia uguale a quella della giovane della Iulm.

Questa è solo una delle tante sfortunate storie che evidenziano il malessere psicologico degli studenti dovuto alla massima performività richiesta in università e della nostra società miope. Ovviamente le colpe non sono da addossare solo alle istituzioni, le cause di queste morti sono dovute sicuramente anche da fattori esterni. Ma la generale visione sociale dell’ambiente universitario è dettata dalla narrazione tossica di modelli irreali e idealistici di studenti che conseguono lauree in pochissimo tempo, ciò crea solo standard irrealizzabili che portano a disagi psicologici per chi affronta questo ambiente.

Per accorgerci della portata, e di quanto il fenomeno sia così vicino ad ognuno di noi, abbiamo analizzato alcune statistiche:

Il 13% dei gesti estremi compiuti nel nostro paese appartengono ai giovani; di essi, ben 200 sono compiuti dagli under 24, in maggioranza studenti universitari. Come se non bastasse, secondo un’indagine ISTAT aggiornata al 2021, “200.000 ragazzi di età compresa fra i 14 ed i 20 anni hanno confessato di trovarsi in una condizione di “scarso benessere psicologico“.

Il problema è il nostro!

Come già detto, le concezioni che la nostra società ha in alcuni contesti, sono determinanti in problematiche come quella che vi stiamo raccontando.  Alla base di come concepiamo il mondo universitario c’è il fallimento, la paura che ciò accada ci spinge a pensare di dover performare al massimo.

Grazie anche ad un’analisi sociale di Factanza possiamo affermare che il problema sta proprio nella nostra visione di fallimento. Ci è sempre stato inculcato che fallire sia sbagliato, siamo abituati ad uno standard culturale e a criteri di valutazione che devono essere colmati unicamente dal successo, dalla vittoria. Ciò che si sbaglia non deve essere mostrato, abbiamo paura di sentirci deboli agli occhi degli altri.

Nella nostra società, sia a scuola che a lavoro, si tende a premiare la competizione e chi non ce la fa è un fallito. Dobbiamo prendere buoni voti, trovare subito un buon lavoro o finire in tempo gli esami all’università. Chi non sostiene questi standard è un fallito. Dobbiamo raggiungere determinati standard di produzione nel miglior e nel minor modo possibile, chi non si identifica nella rigidezza dei parametri della società, non è all’altezza. Su questa visione è basata non solo la concezione universitaria, bensi’ tutto il nostro percorso vitale. 

Per evitare tragedie, bisogna evolversi

Il primo passo che dovrebbe essere fatto in quanto società dovrebbe essere quello di sensibilizzare lo stigma attorno alla concezione del fallimento e superarla per far si che il nostro benessere psicologico e le nostre vite possano migliorare ed evolversi. Per chi vive situazioni come quelle raccontate oggi e non sanno cosa fare, è altamente consigliato di affidarsi a delle figure di fiducia. É doveroso per la propria guarigione parlare con amici e famiglia, al quale dovrà poi seguire una terapia presso i professionisti esperti di salute mentale. Per noi altri è doveroso far luce sulle ombre presenti nelle nostre visioni e superarle.

Scritto da Alessio Pio Pierro e Fabio Virzì


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