Chi è Matteo Messina Denaro, super boss di Cosa Nostra

di Antonio Pio Fuoco
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 5 Min.

Dall’arresto di oggi alla storia della sua ascesa a Cosa Nostra: parliamo di Matteo Messina Denaro, il boss latitante da trent’anni responsabile, tra le varie cose, della strage di Capaci e dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.

Trent’anni esatti dopo l’arresto del boss di Cosa Nostra Totò Riina, mente, tra le altre cose, delle stragi di Capaci e Via D’Amelio in cui persero tragicamente la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, questa mattina “i Carabinieri del Ros, del Gis e dei comandi territoriali della Legione Sicilia” hanno catturato il boss latitante Matteo Messina Denaro.

Messina Denaro si trovava alla Maddalena di Palermo per delle terapie cliniche quando il blitz delle Forze dell’Ordine lo ha portato in manette dopo 30 lunghi anni di latitanza.

Storia di uno dei latitanti più ricercati al mondo

Matteo Messina Denaro, anche detto U Siccu e Diabolik, nasce a Castelvetrano nel 1962.

Figlio di Francesco Messina Denaro, già capomafia di Castelvetrano, Matteo riceverà più tardi il testimone dal padre costretto alla latitanza. Il suo debutto nel mondo criminale siciliano, dunque, non tarderà ad arrivare.

Già nei primi anni ’80 assume il ruolo di capo della cosca di Castelvetrano nei rapporti con i corleonesi. Nel 1989 viene denunciato per associazione mafiosa: le accuse lo vedono coinvolto nella faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna.

Le intimidazioni a Costanzo e il tentativo di attentato a Falcone

Nel ’92, insieme a un gruppo di mafiosi di Brancaccio e di Trapani, Messina Denaro viene “inviato” a Roma per pedinare il rinomato conduttore televisivo Maurizio Costanzo, oltre che per eseguire l’omicidio del giudice Falcone e del ministro Claudio Martelli.

Pochi giorni dopo, il gruppo di fuoco viene fatto rientrare dal boss Riina che voleva che l’attentato a Falcone venisse orchestrato diversamente.

L’arresto di Riina e gli attentati dinamitardi

In seguito all’arresto di Riina Matteo Messina Denaro, insieme a Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Gravino, prosegue con la linea degli attentati dinamitardi.

Mette a disposizione, successivamente, un suo uomo per le stragi di Firenze, Milano e Roma che portano alla morte di dieci persone e provocano 106 feriti complessivi.

1993: l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo e l’inizio della latitanza

L’estate del 1993 segna un punto di svolta nella storia di Messina Denaro: giunto in vacanza a Forte dei Marmi, il pericoloso boss inizia il suo lungo periodo di latitanza.

A novembre di quell’anno Messina Denaro si macchia di uno degli omicidi più scioccanti avvenuti in Italia in ambito mafioso: partecipa al sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo per convincere il padre Santino a rivedere le sue dichiarazioni sulla strage di Capaci. Giuseppe viene tenuto in ostaggio per ben 779 giorni e, alla fine, viene strangolato e sciolto nell’acido.

La condanna all’ergastolo

Un anno dopo, a marzo, ha inizio l’operazione Petrov: Pietro Scavuzzo diventa collaboratore di giustizia e grazie alla sua testimonianza emerge il ruolo di Denaro all’interno della cosca trapanese.

L’operazione Omega del 1996 è cruciale: già accusato di associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori, Messina Denaro viene condannato in contumacia all’ergastolo.

Questa è la storia di Matteo Messina Denaro, considerato uno dei latitanti appartenenti a Cosa Nostra più pericolosi e ricercati del mondo.

Di Carola Antonucci.


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