Lost in Translation (2003): la solitudine come (ri)scoperta di sé

di Emanuele Fornito
6 Min.

Trama

Bob (Bill Murray) è una star di Hollywood in declino che, a causa di una buona offerta in denaro, accetta di girare uno spot pubblicitario per un brand di whisky a Tokyo dove, durante la sua permanenza solitaria, conosce Charlotte (Scarlett Johansson), una giovane donna che, a suo modo, stravolgerà la sua esistenza.

Recensione

Tra i film più apprezzati della filmografia di Sofia Coppola, Lost in Translation esplora i meandri della solitudine e dell’esistenzialismo nella psicologia di un uomo di mezza età, in crisi con sé stesso e con il mondo e di una donna, alle prese con un’incomunicabilità emotiva. Bob è infatti una ex star decaduta, un passato che porta sulle spalle come un macigno, tanto da restare infastidito (o deluso con sé stesso), quando due giovani lo riconoscono al bar. Ma Lost in Translation riesce a superare l’unilateralità tematica: quasi in parallelo viene raccontata la storia di Charlotte (interpretata da una allora diciannovenne Scarlett Johansson) la quale, sposatasi da poco con un fotografo, resta isolata ed esclusa nella frenetica Tokyo.

Scarlett Johansson in una scena del film

Come riferito dalla stessa Sofia Coppola, l’idea per il film nacque proprio durante un viaggio nella capitale giapponese, durante il quale, proprio per la frenesia che caratterizzava la città, e per il jet lag insopportabile, la regista finì per isolarsi, mettendo in discussione tutte le certezze della propria esistenza. Solo successivamente venne poi aggiunta la storia d’amore tra i due protagonisti, ispirata a quella raccontata in The Big Sleep (1947) di Howard Hawks. Difatti, quelle che sembrano due storie parallele alla fine si incontrano: quasi come riconoscendo l’un l’altro una comune malinconia esistenziale, Charlotte e Bob finiscono per creare una relazione sempre in bilico tra una stretta amicizia, un rapporto padre-figlia e un rapporto d’amore. Quel che è certo è tuttavia il sentimento che provano entrambi e che sarà il cardine per un risollevamento personale.

Scarlett Johansson e Bill Murray in una scena del film

Come accennato in apertura, infatti, Bob e Charlotte rappresentano i due momenti di crisi che un essere umano affronta nella propria vita: una crisi all’inizio dei vent’anni ed una crisi di mezza età. In particolare, il personaggio di Bob è particolarmente disilluso e deluso da tutto quello che caratterizza la sua vita: un sogno ormai svanito, una famiglia che si dimostra quasi disinteressata alla sua assenza, la costrizione a dover lavorare dall’altra parte del mondo in un ambiente frustrante. Tutto ciò lo porta alla completa solitudine, una solitudine da non intendersi come assenza di altre persone ma come solitudine interiore: né una notte d’amore con la cantante dell’albergo né la costante presenza del suo entourage giapponese fanno sentire l’uomo bene, poiché sono tutti la conseguenza della propria decadenza esistenziale.

Frame tratto da una scena del film

Quello che vive Charlotte è, invece, un completo smarrimento: il matrimonio contratto in età così prematura mette la giovane donna dinanzi una realtà probabilmente più grande di lei, con un marito sempre assente per lavoro e probabilmente immischiato in una relazione extra-coniugale, che spinge Charlotte a chiudersi in camera, senza mai esternare però la sua sofferenza, in preda ad una vera e propria incomunicabilità emotiva ed alla stessa solitudine provata da Bob. Tutto viene però messo in secondo piano quando Bob e Charlotte si incontrano: essi riescono a capirsi anche senza parlare, in quanto intuiscono di trovarsi in una situazione che, in fin dei conti, sono stati costretti ad accettare. Ecco che si sviluppa in loro una volontà di evadere, di scappare, che nella realtà può limitarsi soltanto ad una “fuga” durante la notte per le strade di una illuminata ed affollata Tokyo, donando loro momenti di riflessione alternati a momenti di felicità, un tipo di felicità che, possiamo desumere, non hanno mai provato prima.

Frame tratto dalla scena in cui i due protagonisti sono impegnati alla visione del capolavoro di Fellini La Dolce Vita (1960)

Il tempo tuttavia passa e Bob è costretto a ritornare alla sua vita quotidiana in America, mentre Charlotte è costretta a restare a Tokyo: è la fine di un vero e proprio sogno, un ritorno alla realtà che numerose volte nel mondo del cinema abbiamo imparato essere inevitabile. Le sequenze finali, con un addio nella folla di Tokyo e con quelle parole inaudibili che Bob dice a Charlotte (le quali non erano previste nella sceneggiatura, e dunque sono soltanto Bill Murray e Scarlett Johansson a conoscere), regalano l’apice di tutte le emozioni provate durante l’intero corso del film che, seppur non perfetto, dimostra di come, tutto sommato, non esista esperienza senza ricordo.

Scritto da Emanuele Fornito


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