L’autonomia differenziata, in breve

di Mirko Aufiero
8 Min.

Mercoledì 19 giugno la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge sull’autonomia differenziata, dopo il precedente via libera da parte del Senato. La legge delinea l’iter legislativo con cui le Regioni potranno chiedere il trasferimento di specifiche materie oggi gestite esclusivamente o in maniera concorrente dallo Stato centrale.

Si tratta di un vecchio pallino della Lega, risalente ai tempi in cui il partito si chiamava ancora Lega Nord e a guidarlo c’era Umberto Bossi. Proprio da un membro del governo leghista, Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, prende il nome il ddl in questione.

Fortemente contrarie le opposizioni, che hanno definito la legge «spacca Italia» e hanno accusato la maggioranza di star creando maggiori disuguaglianze nel Paese. Per eliminarla, tutti i partiti all’opposizione hanno annunciato l’intenzione di raccogliere firme per un referendum abrogativo, e diversi governatori del Sud non escludono il ricorso alla Corte Costituzionale.

Al di là dei giudizi sul tema, analizziamo cosa prevede l’autonomia differenziata.

Cosa dice la Costituzione

Negli ultimi anni il tema dell’autonomia differenziata è stato quasi esclusivamente cannibalizzato dalla destra, che ne ha fatto una battaglia identitaria. Tuttavia, l’ultima volta che la parte della Costituzione che si occupa dei rapporti tra Stato e Regioni – il titolo V – ha subito modifiche era con il centrosinistra al governo.

Correvano i tempi del secondo governo Amato quando nel 2001 venne approvata la riforma del titolo V, poi sottoposta con esito favorevole a referendum costituzionale. In quell’occasione veniva stabilito che:

«nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».

art. 117 Costituzione

La divisione dei poteri tra Stato e Regioni stabilita nell’art. 117 della Costituzione prevede infatti che ci siano materie di competenza esclusiva dello Stato e altre su cui il potere di legiferare è concorrente. A queste si aggiungono quelle la cui competenza è residuale, ossia che spetta alle Regioni per le materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato.

Tra le 16 materie di competenza esclusiva troviamo l’immigrazione, la difesa, l’istruzione e la previdenza sociale. Tra le 20 di competenza concorrente spicca invece la sanità.

Questi rapporti non sono immutabili, anzi è previsto dall’art. 116 che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata […]». Questa possibilità è tuttavia limitata a 3 delle 16 materie di competenza esclusiva dello Stato (organizzazione della giustizia di pace, istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali) e a quelle di competenza concorrente.

Il provvedimento approvato dalla maggioranza prevede dunque l’applicazione del terzo comma dell’art. 116, definendo l’iter legislativo per l’assunzione di queste ulteriori forme e condizioni di autonomia.

Dentro la legge Calderoli

https://www.flickr.com/photos/cameradeideputati/33446921526 https://www.flickr.com/photos/cameradeideputati/ autonomia differenziata

Come già accennato, la legge definisce la procedura con cui le Regioni possono chiede di assumere ulteriore autonomia. Come previsto dal comma 2 dell’art. 1 della legge, ciò deve avvenire nel rispetto dei «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». Questi sono più comunemente noti come «LEP», ed indicano la «soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti su tutto il territorio nazionale».

I LEP comprendono quei servizi considerati necessari e irrinunciabili per i cittadini – sanità e istruzione su tutti – che non possono mancare in nessun luogo del Paese. Affinché alle Regioni possa essere concessa maggiore autonomia, è necessario che vengano preventivamente determinati tali livelli essenziali.

Come i LEP debbano essere determinati è però un tema controverso. È previsto all’art. 3 che questo compito spetti al Governo, che «è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi» in materia.

Affinché i LEP siano rispettati, è prevista (art.3, comma 4) un’attività di monitoraggio svolta da una Commissione paritetica, che ogni anno dovrà riferire alla Conferenza unificata. I LEP possono essere inoltre soggetti ad aggiornamenti periodici:

«in coerenza e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, anche al fine di tenere conto della necessità di adeguamenti tecnici prodotta dal mutamento del contesto socioeconomico o dall’evoluzione della tecnologia»

La procedura dell’autonomia differenziata

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È previsto all’art. 2 che la richiesta per maggiore autonomia debba partire dalla Regione, dopo aver deliberato e consultato gli enti locali. L’atto di iniziativa deve essere successivamente trasmesso al Presidente del Consiglio e al ministro per gli Affari regionale e le Autonomie.

Entro 60 giorni il ministro deve raccogliere le valutazioni dei ministri competenti e del ministro dell’Economia e delle Finanze per individuare le risorse finanziare da assegnare. Dopo ciò – e in ogni caso al termine dei 60 giorni – il ministro per gli Affari regionali e le Autonomia può avviare i negoziati con la Regione.

Questi vengono svolti «per ciascuna singola materia o ambito di materia» per le materie riguardanti i LEP. Al fine di «tutelare l’unità giuridica o economica» del Paese, il PdC può limitare «l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie».

Al termine dei negoziati viene elaborato uno schema di intesa preliminare, che deve essere approvato dal Consiglio dei ministri. Lo schema viene poi trasmesso alla Conferenza unificata per l’espressione di un parere entro 60 giorni. In seguito, lo schema viene inviato alle Camere per l’esame da parte degli organi competenti.

Fatto ciò lo schema torna nelle mani del PdC o del ministro per gli Affari regionali e le Autonomia che, se necessario, negoziano ulteriormente con le Regioni. Lo schema d’intesa definitivo arriva poi alla Regione, che lo approva. Entro 45 giorni dalla data della comunicazione dell’approvazione lo schema deve essere approvato dal Consiglio dei ministri.

Lo stesso Cdm delibera un disegno di legge di approvazione dell’intesa, trasmesso alle Camere per l’approvazione con maggioranza assoluta.

I paletti al trasferimento di funzioni

L’art. 4 pone una serie di limiti al trasferimento di funzioni da Stato a Regione. In particolare, ciò può avvenire «soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio».

Nel caso in cui emergano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica:

«si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio».


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