«Io sono apolitico». Ma si può esserlo davvero?

di Maugeri Costanza
11 Min.

Io e la politica? Sono apolitico, non me ne frega nulla. Questa parole rimbombano nelle mie orecchie da mesi. La causa palestinese e le elezioni europee hanno, nel bene e nel male, avvicinato, nuovamente, le persone a un grande dato di fatto: la politica non è poi così lontana da noi, anzi ci appartiene proprio. E a quest’ultima constatazione – più o meno consapevole – c’è chi ha risposto scendendo in piazza, chi si dichiara neutrale, chi è andato a votare e chi, invece, no.

Ma dobbiamo partire da una consapevolezza: la politica non è solo, come suggerisce il Dizionario De Mauro, la teoria e pratica che ha come oggetto l’organizzazione e il governo dello stato | il complesso dei fini cui tende uno stato e l’insieme dei mezzi impiegati per ottenerli. Ma anche l’insieme delle questioni, dei fatti che riguardano la vita pubblica. Ognuno di noi in quanto membro di una società, come cittadino, ha una sfera pubblica. Che significa, banalmente, recarsi al supermercato e scegliere cosa comprare o attraversare la piazza della nostra città.

La danza di Matisse: la tensione all’unione

Diamo avvio alla nostra riflessione proprio dal quadro in copertina: La Danza di Henri Matisse. Due versioni – la più celebre quella che apre l’articolo – è dipinta nel 1910. Oggi conservata all’Hermitage di San Pietroburgo. Cinque figure danzanti – in quello che sembra un istante che l’autore cattura di un trasporto perpetuo – si muovono in cerchio. In uno stato di natura, nudi e sospesi tra cielo e terra.

A questi cinque esseri umani appartiene una tensione originaria: il tendere l’uno verso l’altro, si stringono le mani. Questa unione è resa necessaria – visivamente – da un senso di precarietà, appartenente alla vita umana. Che non si concretizza solo perchè – seppur faticosamente – questi cinque corpi si tengono insieme, uniti, assecondando, l’uno il movimento dell’altro. Quella che – leopardianemente – potremmo definire una social catena.

Secondo Aristotele siamo animali politici

Uno dei primi a sostenere che ci fosse una correlazione strettissima tra il singolo e la società e, quindi, quasi una sovrapposizione semantica ossia di significato tra “vita sociale – pubblica” e “vita politica” fu Aristotele.

Secondo il celeberrimo filosofo, concezione descritta nella sua opera “Politica”, l’essere umano tende naturalmente ad associarsi, creando così dei nuclei sociali, primo fra tutti la famiglia. Che risponde ai suoi bisogni primari. Un insieme di famiglie formano un villaggio, più villaggi una città e un gruppo di città danno vita allo Stato.

E’ evidente che lo Stato esiste per natura e che l’uomo è per natura animale politico… e più di tutte le api e di ogni animale vivente in società.

Aristotele

E, in effetti, se andiamo a consultare il Dizionario il primo significato che diamo al termine società è questo.

l’insieme di tutti gli esseri umani, in quanto uniti da vincoli naturali e da interessi generali comuni

Dizionario De Mauro

Apolitici? Non lo siamo mai stati

Nasciamo nudi e – dopo qualche minuto – abbiamo il nostro primo contatto con i vestiti. Rosa e le sue tonalità per le femmine. Blu e le sue sfumature per i maschi. Questa distinzione cromatica, seppur negli ultimi anni è resa più fluida, è ancora piuttosto presente. E’ così che l’immagine del bambino e della bambina subisce una politicizzazione. I nostri genitori nella scelta rispondono a degli stereotipi sociali e culturali.

Angelo Capasso, Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale, in un articolo pubblicato su unobravo.com, scrive:

Gli stereotipi di genere “si imparano da piccoli”, proprio come tanti altri stereotipi e narrazioni che apprendiamo inconsapevolmente durante l’infanzia. La trasmissione degli stereotipi di genere all’interno della famiglia è ancora molto diffusa. Spesso, infatti, i ruoli di genere stereotipati vengono inconsapevolmente trasmessi già ai bambini e alle bambine, per delineare ciò che è “appropriato” per uomini e donne, ragazzi e ragazze, in termini di comportamenti, interessi e persino aspirazioni professionali.

Attraverso giocattoli, abbigliamento, attività, testi scolastici e il linguaggio usato da adulti e media, ai bambini e alle bambine viene insegnato cosa significa “essere maschi o femmine” nella loro cultura. 

Questi messaggi iniziano a costruire le aspettative di genere, guidando i comportamenti, gli interessi e persino le aspirazioni future dei bambini e delle bambine.

Il nostro debutto in società avviene quindi come parte inconsapevole di un sistema politico, sociale e culturale che alimentiamo e subiamo.

Autodeterminazione personale: un atto politico

autodeterminazione

[au-to-de-ter-mi-na-zió-ne] s.f.

  • Facoltà di operare scelte autonome

Nel momento in cui acquisiamo la facoltà di scegliere per noi stessi, per noi stesse, accade qualcosa di meraviglioso: ci autodeterminiamo cioè costruiamo, a piccoli pezzi, la nostra identità.

 Complesso di caratteri che distinguono una persona o una cosa da tutte le altre

Dizionario Sabatini – Colletti

La consapevolezza della nostra individualità è essenziale non solo nel rapporto con il nostro io, ma anche con l’altro e la società. Non sono la società, ma ne faccio parte. Questa constatazione ci dà la possibilità di compiere scelte autonome che, in alcuni casi, ci distanziano – positivamente – dall’altro. Io non sono come te, mi abitano altri valori e ideali. Una distanza costruttiva da cui – però – può nascere un sano dialogo e ascolto.

Lo studioso Michael Wehmeyer definisce l’autodeterminazione come l’azione dell’individuo in quanto agente causale nella propria vita e la possibilità di prendere decisioni riguardanti la qualità della propria esistenza libere da interferenze ed influenze esterne.

Ed è proprio quell’ “agente causale” a rappresentare, forse, l’aspetto più politico della questione. Le scelte che prendiamo “causano”, hanno, quindi, delle conseguenze in noi di certo, ma anche nel rapporto con l’esterno. E sulla società. Società e io si influenzano a vicenda. Ed anche non prendere una scelta resta, comunque, una presa di posizione. Additata dall’Alighieri come ignavia.

Discriminazioni sul corpo e sull’identità

E se, nei paragrafi precedenti, abbiamo sottolineato come sia fondamentale sentirsi politici, consapevolmente. Adesso guardiamo l’altra faccia della medaglia che ci vede, in un primo momento, passivamente politicizzati.

L’essere umano – nella maggior parte dei casi – vive discriminazioni perchè facente parte di una categoria che per ragioni storiche e socioculturali profonde subisce dinamiche di potere e privilegio. Orientamento sessuale, etnia, identità di genere, sesso, condizioni psicofisiche. Le discriminazioni hanno come oggetto corpo e identità dell’individuo.

La discriminazione si verifica quando una persona è trattata con meno riguardo di un’altra in una situazione simile solo in quanto appartiene, o viene percepita come appartenente, ad un determinato gruppo o categoria di persone.

Website of Council of Europe

Comprendere che le discriminazioni non sono isolate, ma sistemiche e sistematiche è un primo e essenziale passo per politicizzarle e politizzarci, riconoscendoci come individui discriminati. Arrivando, così, alla rivendicazione dell’equità. Che passa, in un primo momento, attraverso la riappropriazione linguistica del linguaggio discriminatorio.

Riappropriazione linguistica della discriminazione

Apolitico o no?
Claudia Fazia

Il linguaggio è parte integrante della discriminazione, l’appellare una persona con dei vocaboli denigratori e offensivi significa – tra le altre cose – ridurla a quella peculiarità che le appartiene. E riconoscere a tale caratteristica la legittimazione della discriminazione.

Ma negli ultimi decenni – soprattutto – accade qualcosa di significativo. La categoria discriminata si riappropria del termine e lo riempie di un significato puramente politico. Una sorta di risemantizzazione. Dal subire, quindi, si passa alla consapevolezza, all’usare quel tipo di linguaggio come base della rivendicazione, della liberazione. Dopo l’offensiva uscita di papa Francesco, ad esempio, i Pride in tutta Italia si sono riempiti di cartelli del tipo: qui c’è troppa frociaggine o orgogliosamente frocio.

O ancora pensiamo all’uso che, oggi, si fa del termine “terrone“. Il GDLI, Grande Dizionario della Lingua Italiana, riferisce che il termine era in uso nelle città settentrionali come sinonimo di contadino (villano, cafone) e per estensione semantica indicava e indica (in maniera dispregiativa) i cittadini meridionali. In quanto in passato il Sud Italia – e forse quest’idea è ancora presente – era associato a un’economia basata sull’agricoltura arretrata e – in generale – a un’idea di arretratezza nella quale l’unico bene era il legame con la terra.

L’uso nell’accezione spregiativa risulterebbe testimoniato da una lettera scritta da Gilles De Gastines ad Antonio Magliabechi nel 1693 da Napoli:

Illustrissimo Signore e Padrone colendissimo.
Quattro settimane sono scrissi a Vostra Signoria illustrissima e l’informai del brutto tiro che ci fanno questi signori teroni di volerci scacciare dal partito delle galere, contro ogni equità e giustizia, già che ho lavorato tant’anni per terminarlo, e ora che vedano il negozio buono lo vogliano per loro.

Amedeo Quondam e Michele Rak, nella loro edizione delle Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi (1979), ci informano che l’autore della lettera era un mercante francese che si occupava del traffico librario tra Napoli, Livorno e Firenze e che tra il 1693 e 1694 dovette prolungare la sua permanenza a Napoli per risolvere alcune complicazioni nei rapporti con la burocrazia napoletana. 

Accademia della Crusca

Ad oggi, però, gli stessi cittadini e le stesse cittadine meridionali usano questo appellativo per definirsi. E per prendersi gioco di una serie di pregiudizi legati al termine. Rivendicando così anche l’appartenenza a luoghi fin troppo stereotipati.

E quando gridiamo, rivendichiamo il nostro essere politici, da qualsiasi parte veniamo, ricordiamoci che come sostiene l’attivista Claudia Fauzia – in arte la Malafimmina – anche il nostro accento è politico. E no, non possiamo esimerci dall’essere politici, almeno che decidessimo di restare in silenzio.

Fonti sitografiche: Accademia della Crusca, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Enciclopedia Treccani, Council of Europe, State of Mind.

Immagine di copertina: Matisse, La Danza


Le foto presenti in questo articolo provengono da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se un’immagine pubblicata risulta essere protetta da copyright, il legittimo proprietario può contattare lo staff scrivendo all’indirizzo email riportato nella sezione “Contatti” del sito: l’immagine sarà rimossa o accompagnata dalla firma dell’autore.

Articoli Correlati