No, il sushi non è proprio giapponese

di Sofia Ciatti
5 Min.

Il sushi al salmone tra Norvegia e Giappone

Se pensiamo alla cucina giapponese, immediatamente ci viene in mente lui, il sushi, immancabile quando organizziamo un pranzo o una cena tra amici.

Una delle versioni più conosciute e apprezzate di sushi è quella con il salmone: fino a trent’anni fa però in Giappone questo piatto non esisteva e il salmone era un pesce che si consumava solo cotto.

L’idea che convinse i giapponesi a mettere il salmone nel sushi arrivò dalla Norvegia e fu l’esito di un’operazione che risolse alcune necessità da una parte e dall’altra.

Sushi

La Norvegia e la sovrapproduzione di salmone

La Norvegia è oggi soprattutto il principale produttore di salmone al mondo.

Già nel 1980 più della metà del salmone da allevamento prodotto a livello globale proveniva dalla Norvegia: nei dieci anni successivi la produzione crebbe in maniera così rapida che le quantità di salmone a disposizione superarono anche la domanda delle esportazioni.

Per arginare il problema senza diminuire la produzione, la Norvegia rivolse il suo sguardo al Giappone, un paese che nello stesso periodo stava faticando a soddisfare il proprio fabbisogno di pesce sia a causa della pesca eccessiva, sia a causa di nuove restrizioni sulle acque in cui pescare.

Nel 1986 il ministero della Pesca norvegese promosse quindi il Progetto Giappone, un’iniziativa che aveva l’obiettivo di convincere importatori, distributori e catene di supermercati giapponesi a comprare il suo salmone.

Bjørn Eirik Olsen, a capo del progetto, provò a proporlo come ingrediente per il sushi, anche se non era una combinazione che faceva parte della cucina tradizionale giapponese.

Sushi

I giapponesi e il “timore” verso il salmone norvegese

Sfortunatamente i giapponesi non ne volevano sapere di consumare salmone crudo: quello giapponese, selvaggio e proveniente dalle acque del Pacifico, veniva consumato esclusivamente cotto, poiché poteva contenere larve di Anisakis, un parassita tossico per l’uomo.

Inoltre, i giapponesi sostenevano che il salmone norvegese non fosse così buono, dato che aveva un odore troppo forte e, in aggiunta, avrebbe dovuto avere un colore più tendente al rosso per attrarre il pubblico.

I norvegesi convinsero i giapponesi che il salmone dell’Atlantico, allevato in acque fredde, non conteneva parassiti e dunque non rappresentava alcun rischio per la salute. Non fu certo facile: “La risposta era sempre la stessa”, racconta Olsen, “In Giappone non mangiamo salmone”.

La svolta: il sushi al salmone arriva sulla tavola dei giapponesi

La svolta arrivò quando Olsen convinse l’azienda giapponese di cibi surgelati Nichirei a comprare 5mila tonnellate di salmone crudo a un prezzo molto basso per venderlo appositamente per preparare sushi.

All’inizio il piatto si diffuse nei ristoranti di sushi a buon mercato, quelli in cui il cibo viene servito su piattini che girano su nastri trasportatori.

Poi dal 1995 il sushi col salmone crudo cominciò a diventare di moda ed entrò a far parte della cultura locale giapponese, diventando un piatto popolarissimo, anche grazie alle dimostrazioni di alcuni chef durante vari programmi tv di cucina.

Nel 1980 la Norvegia aveva esportato in Giappone due tonnellate di salmone: nel 1995, quindici anni dopo, il Giappone acquistò invece dalla Norvegia circa 30mila tonnellate di salmone.

L’operazione ebbe successo anche perché nel frattempo la popolazione giapponese stava crescendo rapidamente, così come la sua capacità di acquisto e i suoi consumi di pesce.

Superata l’iniziale diffidenza, il sushi al salmone riscosse enorme successo, tanto da essere tutt’oggi il più amato dai giapponesi, insieme ai grandi classici come il sushi di tonno o quello di halibut.

A dircelo sono le esportazioni: ogni settimana l’azienda norvegese Leroy, seconda produttrice al mondo di salmone dell’Atlantico, invia tre aerei pieni di salmone verso il Paese del Sol Levante.

Scritto da Sofia Ciatti


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