Odio gli attacchi. Perché sento di non riuscire mai a dare il giusto valore all’opera di cui sto parlando. E oggi, trovare un inizio, è stato più difficile del solito. Il più bel secolo della mia vita è bello, ma bello bello. Ora ne parliamo.
Ero seduta anch’io tra le poltrone scomode della sala Galileo nella multimedia Valley del Giffoni Film Festival. Indossavo la mia maglia arancione e il badge da giurata. Il posto che ero solita occupare nei giorni precedenti era stato riservato a qualcuno che non era ancora presente in sala. Attendevo la visione di questo film più di qualsiasi altra pellicola in concorso, non so dirvi bene il perché, ma qualcosa mi diceva che sarebbe stata una bella scoperta.
Un film di Alessandro Bardani, tratto dall’omonima piéce teatrale dello stesso regista e sceneggiatore. Il Cast composto da Sergio Castellitto nei panni di Gustavo, Valerio Lundini al suo battesimo cinematografico nel ruolo di Giovanni, Carla Signoris, Antonio Zavatteri, Elena Lander, Marzio El Moety. Con Betti Pedrazzi nel ruolo di Suor Grazia e con un cameo speciale di Sandra Milo.
Una produzione Goon Films, Lucky Red con Rai Cinema e in collaborazione con Prime Video. Dal 7 settembre al cinema.
Il più bel secolo della mia vita e… la vita com’è?

Nella storia è accaduto più volte che l’arte influenzasse altra arte e questa pellicola non è esente da questo meccanismo. Un soggetto originale, scritto a quattro mani da Bardani con Luigi Di Capua (The Pills), che ha visto la realizzazione nell’omonima pièce teatrale del 2015 con Francesco Mondari e Giorgio Colangeli. Un ambizioso progetto, certo, che si fa carico di un bagaglio di emozioni importante e con l’audacia di denunciare una legge dell’assurdo che ancora oggi vige in Italia.
Un’assurda legge ancora in vigore in Italia impedisce a Giovanni, figlio non riconosciuto alla nascita, di sapere l’identità dei suoi genitori biologici prima del compimento del suo centesimo anno di età. Per riuscire ad attirare l’opinione pubblica, la sua unica speranza è ottenere la complicità di Gustavo, unico centenario non riconosciuto alla nascita in vita, il solo che avrebbe il diritto di avvalersi di questa normativa ma che sembra non aver alcun interesse a farlo. Il più bel secolo della mia vita racconta l’incontro tra un centenario proiettato nel futuro e un giovane ancorato al passato e del loro viaggio alla riscoperta delle proprie origini.
Trama de Il più bel secolo della mia vita
La scena iniziale si apre su uno scorcio di vita passata, quella di Gustavo. Un ricordo caustico di un bambino collerico e ribelle tanto quanto fragile e anacoreta, che trascina una croce, forse metafora del grande fardello che grava sulle sue spalle. Bardani lo racconta tingendo i fotogrammi in bianco e nero saturo, forse per richiamare il cinema d’autore di quel tempo oppure per simboleggiare la visione della vita di quel bambino che, orfano di entrambi i genitori e costretto in un collegio, non riesce a vedere i colori della vita.
Seguono cent’anni di storia dello stesso ragazzino che diventa uomo, una raccolta di eventi di una vita vissuta a pieno, ma non solo, un’omaggio all’Italia, all’arte e al cinema italiano. Sono trascorsi solo cinque minuti dall’inizio della proiezione, in sala quei posti sono stati occupati dal cast e la platea scoppia in un fragoroso applauso.
Avere vent’anni o cento non cambia poi mica tanto se non riesci a vivere la vita com’è
La vita com’è | Brunori Sas
Raccontare per sensibilizzare ed emozionare

Ci troviamo davanti ad una pellicola che racchiude in sè gli stilemi della commedia all’italiana. È un road movie che richiama concettualmente Il sorpasso di Dino Risi. Il film affronta un tema delicato – quello della “Legge dei 100 anni” – e lo fa parlando allo spettatore, offrendogli più spunti di analisi. Quello che Bardani racconta con estrema gentilezza sono due storie diverse e complesse, facce della stessa medaglia.
I protagonisti sono due: Gustavo, un centenario chimerico e indomito e Giovanni, un venticinquenne pusillanime, membro della FAeGN (figli adottati e genitori naturali). I due si conoscono quando Giovanni si reca all’ospizio dove Gustavo, accudito da una suora severa (sembra simboleggiare la ciclicità degli eventi), vive da oltre dieci anni per portarlo con sé ad un importante evento dove gli sarà consegnato il fascicolo con il nome della madre. Gustavo accetta, malgrado non gli importi della causa, al contrario di Giovanni che spera di smuovere qualcosa nel governo.
Non mi dilungherò oltre sulla trama, riconosco che il film non sia ancora in sala e non voglio privarvi della magia della prima visione, ma posso raccontarvi di come una sala di ragazzi dai 18 anni in su ha reagito alla prima visione di quel film. Ho visto persone rapite dallo scorrere delle immagini, divertite dal ritmo comico del duo sullo schermo, ci sono stati applausi e commenti sulle proprie esperienze. Personalmente mi sono emozionata e ho apprezzato la cura per i dettagli e l’accezione molto più intima di alcune scene, dove la vulnerabilità risultava essere la chiave vincente della narrazione.
Il gioco degli opposti
La pellicola si fa carico di numerose sfumature emozionali. Bardani ha dimostrato di conoscere e padroneggiare la settima arte. La traslazione da opera teatrale a lungometraggio cinematografico ha lasciato pressoché invariata la comicità e la drammaticità degli eventi.
Il gioco degli opposti è stato rafforzato sotto più punti di vista. Il divario generazionale e caratteriale tra Gustavo, un uomo che ha raggiunto il traguardo dei 100 anni di età, ma ha ancora la voglia di aggrapparsi e prendere a morsi la vita e Giovanni annichilito da fantasmi del passato e dal rancore verso i propri genitori è un elemento fondamentale di tutta la sceneggiatura.

Un’altra fondamentale distinzione risiede nel fatto che Giovanni sia stato adottato. Il regista sviscera e consegna allo spettatore il topos delle adozioni e analizza, mediante il ruolo di Gianna, il difficile percorso di un genitore adottivo. Ci spiega la difficoltà di una madre che deve affrontare il figlio e il suo bisogno di verità. Due approcci alla vita distanti che, attraverso il legame che si instaura nel corso del viaggio, offrono un momento di crescita per i due protagonisti.
Il regista ci offre è una realtà nuda e cruda. Lo fa attraverso una fotografia pulita dal coloring caldo, quasi onirico, una narrazione ritmata, divertente, emozionante, ma anche ricca di momenti di riflessione raccontati con gesti nascosti e inquadrature che mettono sotto una lente d’ingrandimento i dettagli, dalle mani invecchiate e tremanti di Gustavo alle foto che fungono da scorci di vita passata. A fare da colonna sonora è la voce di Brunori Sas che, per l’occasione, ha scritto un pezzo inedito che racchiude in sè tutto il senso del film.
A tal proposito, l’ho ascoltata dal vivo e credo sia un pezzo a dir poco toccante, forse una delle sue miglior canzoni.
La strana coppia che funziona
Sergio Castellitto ci regala una delle sue migliori interpretazioni. Veste i panni di un centenario nella voce, nei movimenti, nei più piccoli tremolii delle mani, ma anche nelle parole e nei ricordi. Aiutato da trucco prostetico e realistico merito di Andrea Leanza si mostra, ancora una volta, attore poliedrico capace di passare per diversi registri, passando dai toni più goliardici a quelli più riflessivi di un uomo maturo.
D’altro canto abbiamo Valerio Lundini al suo esordio cinematografico tutt’altro che pessimo. Portavoce della nostra generazione ha saputo reggere la scena senza mai essere oscurato dalla maestria di Castellitto. Regala la sua prima interpretazione ad un giovane puntiglioso, nevrotico e controllato. I suoi tempi comici surreali scanditi come la lancetta di un orologio vengono adattati al grande schermo e risultano essere vincenti.
In conclusione
Il film si dirama su due piani quello emotivo e quello sociale. Il rischio di creare l’ennesimo film mediocre dalle troppo alte ambizioni c’era, ma Bardani ha saputo districarsi nella complesso sistema cinematografico e narrativo. È un film che esprime un disagio di cui la politica non vuole occuparsi. È una pellicola che da voce a tante persone, ti fa sentire capito quando il tema ti è caro e, al contrario, ti apre gli occhi su una spiacevole verità. Universale anche per il topos dell’affermazione d’identità che Giovanni ricerca per tutto il film. Non ti lascia indifferente, non solo per la buona resa tecnica, ma per il messaggio che cerca di mandare e per le emozioni che ti porta a vivere durante i suoi 90 minuti. Un gioiellino che merita di essere visto. Grazie Alessandro, era un film necessario. 4/5
Scritto da Nina D’Amato
fonti: cinematographe, ciak megazine, riformista
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