Dalla guerra al terrorismo alle guerre in Afghanistan e all’Iraq: le conseguenze degli attacchi che distrussero le Torri Gemelle l’11 settembre 2001
Erano le 8:46 dell’11 settembre 2001 quando un aereo di linea Boeing 767 si schiantò contro la Torre Nord del World Trade Center di New York. Alcuni minuti dopo, alle 9:03, un altro Boeing 767 colpì la Torre Sud, mentre alle 9:37 un Boeing 757 colpì il Pentagono. Un quarto aereo, destinato alla Casa Bianca o al Campidoglio, non riuscì a raggiungere il suo obiettivo grazie all’azione dei passeggeri.
Questi attacchi suicidi provocarono il collasso delle due Torri Gemelle e del 7 World Trade Center, oltre a causare gravi danni alla facciata del Pentagono. Le vittime dell’attacco furono 2977, esclusi 19 dirottatori e le persone decedute nei mesi successivi a causa di malattie legate all’inalazione di polveri tossiche.
L’evento, passato alla storia come il più devastante attentato terroristico di sempre, fu il primo attacco mai verificatosi sul suolo americano, e spinse gli Stati Uniti a dare il via alla guerra al terrorismo su scala globale.
Le conseguenze immediate dell’attacco
Nei giorni successivi agli attacchi, tutte le nazioni del mondo condannarono l’atto terroristico, tranne l’Iraq di Saddam Hussein. Gli Stati Uniti invocarono l’articolo 5 della NATO, il quale prevede una risposta collettiva in caso di “attacco armato” contro uno dei paesi membri, autorizzando così gli alleati a intervenire militarmente in supporto agli Stati Uniti.
«La notte è calata su un mondo diverso», commentò il 20 settembre di fronte al Congresso l’allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. Questa affermazione era particolarmente vera per gli Stati Uniti, i quali si trovarono costretti a rivedere la propria strategia nell’affrontare la minaccia terroristica e a riesaminare gli equilibri della politica estera.
In quella stessa occasione Bush utilizzò per la prima volta l’espressione “guerra al terrorismo“, che negli anni successivi sarebbe stata al centro dell’agire statunitense. L’obiettivo primario era la distruzione di al-Qāʿida, l’organizzazione terroristica responsabile degli attacchi fondata da Osama bin Laden, con base in Afghanistan. Successivamente, l’obiettivo della guerra al terrorismo si sarebbe dovuto estendere a «ogni gruppo terroristico di portata globale», fino alla loro totale distruzione.
«Il nostro nemico è una rete radicale di terroristi e ogni governo che li sostiene. La nostra guerra al terrore inizia con al-Qāʿida, ma non finisce lì. Non finirà fino a quando ogni gruppo terroristico di portata globale sarà trovato, fermato e sconfitto».
George W. Bush il 20 settembre 2001 nella sessione congiunta del Congresso
Gli Usa in Afghanistan

I risvolti concreti di questa dottrina furono le controverse guerre in Afghanistan e Iraq. Inizialmente il presidente Bush cercò il dialogo con il leader talebano, il Mullah Omar, che all’epoca controllava l’Afghanistan. Gli Stati Uniti presentarono un ultimatum che richiedeva la consegna dei leader di al-Qāʿida e il rispetto di condizioni quali la chiusura dei campi di addestramento terroristico e il trattamento equo dei giornalisti stranieri.
Il Mullah Omar si rifiutò di consegnare Bin Laden agli americani e le sue controproposte furono giudicate insufficienti. Ciò portò all’intervento militare degli Stati Uniti e dei loro alleati nel Paese, in quella che venne definita operazione Enduring Freedom (termine usato sia per indicare sia la guerra in Afghanistan che le operazioni antiterrorismo in altri paesi).
L’attacco
L’inizio dello scontro avvenne il 7 ottobre 2001 con un triplice obiettivo: catturare Bin Laden, distruggere i campi di addestramento di al-Qāʿida e smantellare l’organizzazione stessa, oltre a rovesciare il governo dei talebani, colpevoli di proteggere i terroristi.
Dopo una breve campagna militare, gli Usa misero in fuga i talebani e i membri di al-Qāʿida, i quali trovarono rifugio nelle regioni tribali del Pakistan. Nonostante ciò, gli Stati Uniti non riuscirono mai a sradicare completamente la presenza dei talebani, che negli anni successivi sfruttarono il ritiro delle truppe occidentali per riconquistare terreno.
Il ritiro
Il ritiro dei soldati occidentali venne reso definito sotto la presidenza Trump, con la firma degli accordi di Doha, e concluso da Biden nell’agosto 2021. Contemporaneamente, i talebani lanciarono un’offensiva che li portò a riconquistare il Paese, entrando a Kabul il 15 agosto.
Terminava così il più lungo e dispendioso conflitto della storia americana, con oltre 241mila vittime tra militari e civili.
La guerra in Iraq

La strategia di guerra al terrore non si limitò all’Afghanistan, ma portò gli Stati Uniti anche sul suolo iracheno. Il presidente Saddam Hussein, contro il quale gli Stati Uniti avevano già combattuto la Prima Guerra del Golfo nel 1991, era il principale obiettivo.
I preparativi per il conflitto iniziarono già nel 2002 e proseguirono l’anno successivo. L’obiettivo era dimostrare che l’Iraq di Hussein stesse segretamente sviluppando armi di distruzione di massa e che stesse fornendo protezione ai terroristi.
Secondo l’amministrazione Bush, per contrastare queste minacce era necessaria una nuova strategia, passando dalla dissuasione alla guerra preventiva, in modo da prevenire ogni possibile attacco colpendo per primi. Per farlo sarebbero serviti degli alleati, che Bush riuscì a riunire nella “coalizione dei volenterosi“, composta da 49 Paesi tra cui spicca l’assenza di Francia e Germania.
L’inizio della guerra
Il conflitto iniziò nel marzo 2003 con l’operazione Iraqi Freedom, che avrebbe dovuto garantire la libertà agli iracheni facendo crollare il regime di Hussein. Secondo le previsioni degli alti dirigenti degli Stati Uniti, sarebbe dovuta essere una guerra lampo. Le forze armate occidentali riuscirono a sbaragliare le forze irachene in poco più di un mese, facendo crollare il regime di Saddam Hussein, il quale fu catturato nel dicembre dello stesso anno.
Il 1° maggio 2003 il presidente Bush annunciò la vittoria degli Stati Uniti e la fine dei combattimenti, dando inizio alla fase di ricostruzione. Nonostante ciò, al fine di garantire la transizione democratica e la stabilità nel Paese, le truppe occidentali restarono sul suolo iracheno.
Il conflitto si trascinò fino al 2011, causando oltre 200mila vittime irachene, di cui oltre 100mila tra i civili. Le armi di distruzione di massa non furono mai trovate, né fu mai dimostrato il coinvolgimento di Hussein con al-Qāʿida.
Nel 2011 le truppe straniere si ritirarono dall’Iraq, lasciando un paese profondamente segnato dalla guerra che negli anni successivi avrebbe dovuto affrontare le conseguenze della guerra civile siriana e lo Stato Islamico.
Fonti: Rai news, Euronews, Agi, The New York Times, Geopolitica.info, Ispi
di Mirko Aufiero
Le foto presenti in questo articolo provengono da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se un’immagine pubblicata risulta essere protetta da copyright, il legittimo proprietario può contattare lo staff scrivendo all’indirizzo email riportato nella sezione “Contatti” del sito: l’immagine sarà rimossa o accompagnata dalla firma dell’autore.