“Gli adolescenti italiani fanno sempre meno sport, sono troppo distratti dalle nuove tecnologie”, è senza dubbio l’affermazione più ricorrente (e altrettanto scorretta) quando si analizza il binomio giovani-sport.
Che i giovanissimi in Italia stiano diventando sempre più sedentari è oramai assodato. E non mancano le statistiche a confermare questa tendenza. Stando a uno dei più recenti report Istat, datato 1° dicembre 2022, la pratica sportiva di tipo continuativo nella fascia di età compresa tra i 3 e i 17 anni è crollata vertiginosamente dopo la pandemia di Covid-19.
Tale indicatore è passato dal 51.3% nel periodo pre pandemico al 36.2% nel 2022, con un calo di 15 punti percentuali. L’attività sportiva sporadica ha invece subito un leggero aumento, passando dal 18.6% al 26.9%.
Ciò che preoccupa maggiormente gli esperti, però, è il tasso di sedentarietà, che in Italia coinvolge quasi il 30% dei giovani. Inoltre, secondo un sondaggio dell’OMS, già nel 2016 l’85% dei ragazzi italiani non praticava attività sportiva in modo adeguato (media OCSE pari a 72.1%).

Il gap è anche geografico: le differenze tra Nord e Sud
Un divario temporale, quello tra pre e post pandemia, a cui se ne affianca un altro. È il divario geografico che, anche nel mondo dello sport, amplifica le differenze tra Nord e Sud.
Una ricerca realizzata da Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’industria del Mezzogiorno) e Uisp (Unione italiana Sport per tutti) ha messo in risalto le differenze sostanziali nella pratica sportiva nelle diverse regioni italiane.
Il 22% dei ragazzi del Centro Sud non pratica alcuno sport, a fronte di una percentuale più bassa (15%) rilevata nel Centro Nord. Una situazione che si estende anche alle fasce di età più adulte, dove il numero dei sedentari nel Mezzogiorno rimane purtroppo alto. In Campania, ad esempio, solamente un cittadino su cinque (20.2%) pratica sport con continuità o in modo saltuario.
La scarsa pratica sportiva dei cittadini del Sud ha conseguenze significative anche nell’ambito della salute, con particolare attenzione al tasso di obesità della popolazione giovanile (e non solo). Tornando ai dati, il 12% della popolazione adulta del Meridione risulta essere in stato di obesità, contro il 10% degli adulti settentrionali.
Il gap, tuttavia, diventa più netto se si considerano anche gli adolescenti. Al Sud un ragazzo su tre (nella fascia 6-17 anni) è obeso, mentre al Centro-Nord la percentuale cala notevolmente, fino al 20%. La ricerca ha inoltre evidenziato come la regolare pratica sportiva possa apportare dei benefici anche per quanto riguarda la condizione economica personale. Difatti, chi pratica sport in modo continuativo vede ridurre la propria spesa sanitaria annuale di 97 euro. Al contrario, per i sedentari le uscite crescono, con 52 euro in più all’anno per coprire i costi sanitari.
Il titolo di studio è un ulteriore elemento chiave che emerge dal sondaggio: il 51.2% dei laureati pratica un’attività sportiva, mentre tra coloro che possiedono un diploma o una licenza media le percentuali scendono rispettivamente al 38.3% e al 15.6%.
La pratica sportiva assume un ruolo prioritario nella riduzione della criminalità giovanile e nell’adozione di abitudini di vita sane, tra cui la rinuncia a fumo, alcol e cibo spazzatura. Lo sport, inoltre, può rivelarsi fondamentale durante il percorso di sviluppo personale dei giovanissimi, favorendo la loro interazione sociale all’interno della comunità.
Ma perché i ragazzi fanno sempre meno sport?
Appurato, dunque, come il numero di praticanti stia subendo un drastico calo negli ultimi anni, per molti sembra scontato individuare le ragioni di tale fenomeno. La sola e unica responsabile che viene comunemente (ed erroneamente) individuata è la tecnologia, in molti casi ritenuto il mezzo che distrae e allontana gli adolescenti dalle attività creative e manuali, così come dallo sport.
Al giorno d’oggi viviamo in un’epoca in cui i “tribunali social” tendono ad addossare colpe e responsabilità all’uso spropositato degli smartphone da parte degli adolescenti, spesso senza una contestualizzazione adeguata. È accaduto di recente con la tragedia di Casal Palocco, ma si verifica quotidianamente in tantissimi casi di cronaca e non solo, dove la tecnologia viene demonizzata e aspramente condannata.
Anche lo sport, d’altronde, non è stato risparmiato. Sì, l’aumento della sedentarietà giovanile trova sicuramente le sue numerose spiegazioni nel maggior numero di tempo trascorso davanti agli schermi, ma non è l’unica componente da analizzare. Anzi.

Strutture fatiscenti, istituzioni assenti, investimenti pressoché nulli e impianti che non vengono valorizzati. Lo studio di Svimez e Uisp ha portato alla luce diverse statistiche relative proprio a questa situazione.
L’Italia è uno dei Paesi con meno impianti sportivi disponibili per numero di abitanti. Ben 131 ogni 100.00 abitanti, 2.4 volte in meno della Francia e 4.6 volte della Finlandia. Il 60% delle strutture sarebbe stato edificato più di 60 anni fa.
Si stima che al Centro-Nord un italiano su due utilizzi un impianto sportivo gestito direttamente da un ente pubblico. Al Sud, invece, le cose vanno diversamente. Gli atleti che hanno la possibilità di usufruire di strutture pubbliche rappresentano solo il 37.5% del totale. I dati più allarmanti arrivano dalla Sicilia, dove il 90% delle società sportive riconosciute utilizza proprietà pubbliche.
Continuando, l’Italia è uno dei Paesi europei che destina il minor numero di fondi allo sport, posizionandosi al 16esimo posto della classifica con una spesa pari allo 0.46% del Pil. Eppure, l’economia italiana trae non poche risorse dal mondo dello sport: 24,5 miliardi di euro e oltre 400mila occupati in tutta la Penisola*.
Lo stesso è accaduto con il PNRR, dove i fondi dedicati allo sport rappresentano solo lo 0.5% del totale (200 miliardi).
Il ruolo della Scuola nell’approccio allo sport
La Scuola rappresenta il luogo dove bambini e adolescenti dovrebbero avere la possibilità di entrare a contatto con il mondo dello sport. Dovrebbero, dal momento che in Italia 6 edifici scolastici su 10 non possiedono una palestra. L’Unione Europea ha infatti stanziato 300 milioni di euro per il potenziamento e la costruzione delle stesse negli istituti scolastici.
Ma non solo. La Scuola dovrebbe favorire la pratica sportiva degli studenti, anche e soprattutto in ambienti extrascolastici. Troppo spesso, però, i ragazzi si vedono costretti ad abbandonare il loro percorso sportivo perché estremamente oberati dal carico di compiti. Nel 2013, secondo diversi studi condotti nelle grandi città italiane, il 56% di coloro che hanno lasciato lo sport lo hanno fatto a causa dei troppi assegni.
Dati che non hanno subito variazioni negli anni a venire: per l’Istat, il 22% dei ragazzi che praticano attività sportiva a livello amatoriale smette di fare sport durante le superiori. Va peggio, invece, per gli atleti agonisti, dove la percentuale sale addirittura all’80%.
Tuttavia, già da diversi anni sembra che il Ministero dell’Istruzione abbia compreso (solo in parte) le esigenze di una parte degli studenti-atleti italiani, proponendo programmi didattici destinati esclusivamente ad “atleti di alto livello”. In questa categoria rientrano tutti gli sportivi che possiedono determinati requisiti, come la partecipazione a campionati nazionali.
Eppure, con questa scelta il Miur ha tagliato fuori una parte (quella più numerosa) di ragazzi che praticano sport a livello dilettantistico o amatoriale. E per loro non esiste alcun piano didattico. Molti sono quindi costretti a intraprendere una scelta. Una scelta che, nella maggior parte dei casi, li costringerà a dire addio allo sport.
Dunque, vi abbiamo dimostrato che le motivazioni per cui sempre più giovani smettono di fare sport non sono legate esclusivamente alla diffusione della tecnologia tra gli adolescenti, nonostante questa sia una credenza parecchio diffusa.
Il più delle volte, infatti, le nuove tecnologie diventano il capro espiatorio per giustificare, o forse per ignorare, delle problematiche che non dovrebbero essere evitate. E lo sport, con le sue mille sfaccettature, ne presenta ancora fin troppe.
Scritto da Giuseppe Di Sorbo
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