Dagli attentati alla guerra al terrorismo, la primazia statunitense e l’amministrazione Bush dopo l’11 settembre.

Nato a New York nel 1927, Samuel P. Huntington è conosciuto ad oggi come uno dei più importanti politologi al mondo, nonché uno dei più grandi esperti di politica estera americana. Non a caso fu Consigliere dell’amministrazione americana di Carter, Presidente dal 1977 al 1981, e direttore degli Studi strategici di Harvard, dov’era professore. A lui si deve inoltre la nascita di Foreign Policy, rivista di fama mondiale dedicata alle relazioni internazionali.
Huntington, già professore a 23 anni, divenne famoso con “Ordine politico nella società in cambiamento”, nel quale si opponeva alla modernità classica sottolineando il ruolo dei fattori sociali nello sviluppo della civiltà. A lui si deve un’ampio numero di saggi, che lo hanno portato a cambiare il volto della geopolitica degli ultimi 20 anni.
Nei suoi studi vi sono analisi sui colpi di Stato, sul governo civili e le relazioni con il potere militare, nonché il ruolo degli attori che più connotano il XXI secolo, le civiltà. È proprio “Lo scontro delle civiltà” uno degli scritti più famosi di Huntington … di cosa parla?
Huntington: The Clash of Civilizations

«La fonte di conflitto fondamentale nel mondo in cui ora viviamo non sarà sostanzialmente ńe ideologica, né economica. Le grandi divisioni saranno legate alla cultura. […] I conflitti più importanti avverranno tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. […] Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro»
È questo un passo dell’opera di Huntington, “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, pubblicato nel 1996 e destinato a diventare uno dei capisaldi della letteratura politica e geopolitica mondiale. La teoria alla base dell’opera risale però ad un articolo pubblicato anni prima proprio su Foreign Policy, dove Huntington analizza il mondo post-Guerra fredda e i conflitti che vi emergeranno. Questi saranno conflitti basati sulle identità culturali e religiose, “civiltà” che diverranno le vere protagoniste della storia mondiale. Secondo Huntington le identità culturali sono alla base dei processi di coesione, frammentazione e competizione nel mondo post-Guerra fredda. La struttura anarchica del sistema internazionale infatti, multipolare e con l’Occidente in declino, condanna le unità politiche ad una lotta perenne. Finito lo scontro USA-URSS, è infatti inevitabile che ce ne sia un altro, cioè quello tra le civiltà, connotate da fattori oggettivi tra cui la religione (fondamentale).
In Huntington il termine “civiltà” viene declinato al plurale, non essendoci una civiltà moralmente superiore alle altre. Tutte le civiltà sono caratterizzate da un fattore fondamentale, ossia la religione, quella “forza fondamentalmente capace di muovere e motivare le masse”. Tali civiltà sono macrocontenitori per gli Stati (non raggruppamenti culturali in sé) e sono l’unità di analisi primaria della politica internazionale perché sono presenti in tempi sia di guerra che di pace, oltre ad essere la principale causa del cambiamento politico.
Il sistema post-Guerra fredda per Huntington aveva una forma sia a livello locale che globale. Se nel microlivello si parla di guerre di faglia tra Stati limitrofi che appartengono a civiltà diverse, nel macrolivello lo scontro avviene tra Stati-guida. Quest’ultimo evento, sebbene raro, risulta più pericoloso perché potrebbe generare un conflitto mondiale.
Bush: lo Scontro per la civiltà

Gli attentati al World Trade Center hanno riportato sin da subito nei discorsi politici le tesi di Huntington. L’uscita del “nemico invisibile”, cioè il terrorista e il contrasto dell’amministrazione Bush con il radicalismo islamico hanno fatto sembrare che uno scontro tra civiltà stesse per prendere inizio. In realtà vi è divergenza tra Huntington e Bush, sotto plurimi punti di vista. Tra i due vi è un solo punto di contatto, il termine “civiltà”, che però in Bush assume una connotazione singolare.
La civiltà di Bush è lo strumento utile a negare lo Scontro e a legittimare la crociata contro il terrore, mentre in Huntington la pluralità delle civiltà è il metro d’analisi dell’interpretazione delle dinamiche internazionali. Per Huntington il mondo occidentale è in decadimento, mentre Bush porta avanti la retorica dell’unipolarismo a egemonia americana nato dopo lo sfaldamento dell’Unione Sovietica. Per gli Stati Uniti, gli attentati dell’11 settembre confermavano una linea di demarcazione amico-nemico puramente ideologica, dove il fattore religioso era completamente lasciato di parte. Agli occhi di Washington era l’assenza di libertà la causa del terrorismo, non la religione … per tale motivo, l’esportazione di democrazia e la guerra al terrore risultavano la giusta medicina a quel “nuovo nemico” che si calava nel contesto internazionale.
Scritto da Emanuele Lo Giudice
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