Funghi e sostanze psichedeliche: non la soluzione che meritiamo, ma la soluzione di cui abbiamo bisogno

di Mattia Beraldo
6 Min.

Sono molti, ahimè troppi, i mali per cui l’uomo non ha ancora trovato soluzione. Tra questi, si stanno facendo sentire sempre di più i problemi relativi alla salute mentale: si è quindi posti di fronte ad una condizione che richiede urgentemente nuove terapie. La situazione ha allarmato anche i Centri di controllo e di prevenzione delle malattie (in breve CDC), uno dei più importanti organismi federali di controllo per quanto riguarda la sanità pubblica degli USA. La soluzione? Sembra quasi un paradosso, ma dai vari test condotti pare che trattamenti con sostanze psichedeliche possano rappresentare l’alternativa più efficace.

Ma è sicuro?

Nonostante sembri che, dai vari test condotti, trattamenti con sostanze psichedeliche possano avere effetti positivi nel trattamento di alcune condizioni mentali, l’ostacolo più grande resta eliminarne, o almeno ridurne, gli effetti più dannosi. Ad oggi, infatti, il principio attivo dei “funghetti allucinogeni” sembra che possa avere un impatto negativo per quanto riguarda il muscolo cardiaco. Proprio per questa ragione Matthew Johnson, ricercatore presso John Hopkins Medicine, ha studiato gli effetti di una particolare sostanza psicoattiva – la psilocibina – solamente su pazienti non affetti da disturbi cardiaci. 

Tra le varie altre sostanze psichedeliche sono comprese LSD e MDMA (ecstasy), sostanze che comunque, nel complesso, gli esperti considerano sicure.

Qual è l’origine delle sostanze psichedeliche?

Tralasciando la LSD, la maggior parte delle sostanze psichedeliche si trovano in natura: si tratta infatti di piante che, dalla necessità di proteggersi, hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione delle particolari proprietà. 

Volendo si potrebbe cercare di ricreare in laboratorio delle molecole simili a quelle già presenti intorno a noi, com’è già successo per l’aspirina. Ciò permetterebbe di sintetizzare principi attivi che iniziano a fare effetto prima (ora ci impiegano una o due ore) e ridurne la durata, in modo da evitare alcuni degli effetti collaterali, tra cui anche problemi gastrointestinali.

Quanto è attuabile una terapia del genere?

La ricerca in questo settore è ancora agli stadi iniziali, risultano quindi necessari i finanziamenti da parte di case farmaceutiche e startup. Queste ultimamente hanno iniziato a muoversi perché, se non si può avere il brevetto per un fungo, si possono detenere i diritti della creazione di una nuova molecola.

C’è la possibilità di ridurre gli effetti collaterali?

Particolarmente interessanti sono le opzioni che la tecnologia sta offrendo agli scienziati per quanto concerne questa necessità. A Londra, per esempio, due anni fa è stata fondata da alcuni informatici la società April19 Discovery,il cui scopo è creare nuove sostanze psichedeliche tramite IA. Anche le startup stanno facendo la loro parte, come Psilera, la quale ha sede in Florida e punta allo sfruttamento del machine learning per identificare le sostanze potenzialmente benefiche.

Bisogna comunque tenere alta la guardia, evitando di accelerare la ricerca a discapito del rispetto dei protocolli di sicurezza: “C’è sempre la possibilità […] che si aumenti la cardiotossicità invece di abbassarla“, sottolinea Jackie von Salm, cofondatrice di Psilera.

Esistono sostanze psichedeliche non allucinogene?

Uno degli obiettivi che la ricerca scientifica si è posta sarebbe quello di ridurre le allucinazioni causate, mantenendo però i benefici terapeutici . Per fortuna sembra che i “trip” dovuti all’uso delle sostanze allucinogene siano effettivamente eliminabili, senza intaccare alcunché gli effetti positivi. Un esempio è presentato dal cerotto cutaneo sviluppato da Psilera, ma ce ne sono anche altri. 

MindMed,in particolare, è una società newyorkese che ha sintetizzato un proprio composto psichedelico ma non allucinogeno, chiamato 18-MC. Secondo studi sui ratti, pare che 18-MC possa essere particolarmente efficiente nel trattare la dipendenza dagli stupefacenti senza provocare danni al cuore.

Nonostante tutto, Matthew Johnson continua ad avere delle riserve per quanto riguarda le sostanze psichedeliche non allucinogene: secondo il suo parere, probabilmente non basterebbero solamente una o due dosi, bensì servirebbe farne un uso continuo.

Esistono trattamenti alternativi che hanno già ottenuto dei risultati?

Se è vero che l’utilizzo di sostanze psichedeliche risulta essere troppo inefficiente e dispendioso al momento, qualche cosa la si è riuscita ad ottenere.

Una soluzione più conveniente pare essere l’assunzione in microdosi di una sostanza allucinogena, in modo che quest’ultimo effetto non sia poi così marcato. La quantità di microdose standard non è però ancora ben definita, in quanto non sono stati eseguiti sufficienti studi in merito.

Sembra però che ci si stia avvicinando a dei risultati concreti: i risultati che la società MindBio Therapeutics di Melbourne, in Australia, ha recentemente ottenuto sono infatti incoraggianti. I risultati preliminari di un loro studio su un campione di 80 volontari ha mostrato solamente effetti positivi, per quanto riguarda l’assunzione orale di microdosi di LSD.

Non sappiamo ancora cosa possa riservarci il futuro, ma se riuscissimo ad incanalare gli effetti terapeutici di certe sostanze nella cura dei pazienti, piuttosto che nella creazione di nuovi, non vedo motivo alcuno per rimanere misoneisti e bigotti.


Scritto da Mattia Beraldo

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