11 Settembre 2001

“Fotografia dell’11 Settembre” di Szymborska: una vita in un attimo

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E’ l’11 Settembre del 2001, l’orologio segna le 9:41 a New York. La macchina fotografica di Richard Drew ferma un instante, un instante in cui si esaurirà l’esistenza intera di un essere umano. Da una delle Torri gemelle, destinate da li a pochi momenti a diventare il simbolo di una città che non sarà mai più la stessa, un uomo si getta. “The falling Man“, questo è il titolo che accompagnerà la fotografia, sulla settima pagina del New York Times, il giorno seguente.

«Una persona cade a capofitto dopo essere saltata dalla Torre Nord del World Trade Center. È stato uno spettacolo orribile che si è ripetuto nei momenti in cui gli aerei hanno colpito le torri.»

La didascalia dello scatto fotografico sul New York Times

Lo scatto scosse l’anima della poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la Letteratura nel 1996 e nota per la sua chirurgica attenzione ai dettagli, che nelle sue opere assumono la carica esistenziale di una vita intera.

Questa è la “Fotografia dell’11 Settembre“.

Saltarono dai piani in fiamme, giù
…uno, due, altri ancora
più in alto, più in basso.
Una fotografia li ha colti mentre erano vivi
e ora li preserva
sopra il suolo, diretti verso il suolo.
Ognuno di loro ancora intero
con il proprio volto
e il sangue ben nascosto.
C’è ancora tempo,
perché i loro capelli siano scompigliati,
e perché chiavi e spiccioli
cadano dalle loro tasche.
Essi si trovano ancora nel reame dell’aria,
entro i luoghi
che hanno appena aperto.
Ci sono soltanto due cose che posso fare per loro
…descrivere questo volo
e non aggiungere l’ultima frase

Testo originale

Strofe, le prime due, in antitesi: se la prima descrive il salto, movimento di disperazione, la seconda imprime gli ultimi battiti, gli ultimi respiri di questi esseri umani in uno scatto fotografico.

Le strofe centrali, invece, descrivono quell’attimo, ritraendone altri mille, visibili solo alla penna di Szymborska, che si accumulano. Essi nella loro essenzialità sono esistenziali.

Ognuno è ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.

La testimonianza della vita, ancora lì, intatta sul corpo, sul viso, dentro i vasi sanguigni. Un istante che sembra delicatamente prendersi gioco della morte così che:

C’è abbastanza tempo
perché si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.

Essa però già incombe. Cadono dalle tasche gli spiccioli, la vita quotidiana che essi rappresentano scivola via; cadono anche le chiavi, forse di casa, luogo di protezione, calore, amore.

Esseri umani, ormai quasi solo corpi, che

Restano ancora nella sfera dell’aria,
nell’ambito di luoghi
che si sono appena aperti

Negli ultimi versi la poetessa polacca rivendica il suo ruolo:

Custodire la vita, così come la fotografia, e tacere, nello spazio poetico, la morte:

e non aggiungere l’ultima frase.

“e non aggiungere l’ultima frase”: il ruolo della poesia

Wislawa Szymborska

Perchè la poesia di Szymborska tace la morte? La penna della poetessa è come la fotografia: ha il ruolo di imprimere nella memoria collettiva un’immagine . Quest’ultima deve essere espressione della verità. Come la macchina fotografica di Drew non ha la presunzione di testimoniare la morte, di mettere un punto alla storia di quest’uomo.

La poesia suggerisce con delicatezza. Essa testimonia un attimo di vita, lo rispetta così tanto da lasciarlo lì nell’inchiostro in eterno; nella speranza che ai posteri venga raccontato che alle 9: 41 di quell’11 settembre, un uomo si lanciò nel vuoto, dichiarando amore alla vita.

I jumpers: l’inno disperato alla vita

Furono oltre 200, i jumpers, le persone che quella mattina dell’11 settembre 2001 si gettarono dalle finestre delle Torri gemelle.

Perchè farlo? Perchè lanciarsi nel vuoto?

Di Richard Drew

Se lo sono chiesti in molti, me lo sono chiesta anche io, prima di scrivere l’articolo di oggi. Parole, di cui, ve lo confesso, sento una, a tratti schiacciante, responsabilità. Quali pensieri attraversarono la mente di queste persone? Le Torri gemelle trasformate in delle gabbie di fuoco, in pochi, pochissimi istanti.

Cosa si fa se si è condannati a morte, se si ha la consapevolezza di morire soffocati dal fuoco o schiacciati dal peso degli edifici?

Una delle paure più grandi dell’essere umano è la mancanza di ossigeno. La poesia di Wislawa Szymborska è, in tal senso, testimonianza di una lode al respiro. C’è stato, forse, chi alla certezza di morire, ha preferito la minima probabilità di salvarsi, lanciandosi nel vuoto. Chi, all’idea di morire con il fuoco nei polmoni, ha scelto di custodire nell’ultimo cosciente ricordo la leggerezza, la freschezza, la libertà del vento.

Di Costanza Maugeri


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Fonti: The New York Times, Enciclopedia Treccani, Frammenti Rivista, Carteggi letterari, Wired Italia

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