Nel 2023 qualcuno potrebbe ancora essere Charlie Hebdo?

di Francesco Alessandro Balducci
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 5 Min.

Partiamo da un avvenimento noto a tutti. Siamo a Parigi nel 2015, precisamente il 7 gennaio, e a rue Nicolas Appert, sede del periodico francese Charlie Hebdo si consuma un attentato. Attorno alle 11:30 due uomini incappucciati e armati di AK-47 fanno irruzione nella riunione settimanale, sparando sui presenti. Tra i 12 morti si segnala, soprattutto, il direttore Stéphane Charbonnier, detto Charb. In seguito all’attentato, si scatenerà una protesta che ha smosso le coscienze di quasi tutto il mondo, al grido di #JeSuisCharlie. Un inno a favore della libertà di stampa e della satira, nel segno delle quali Charlie Hebdo ha realizzato delle vignette che hanno profondamente offeso le autorità mussulmane. Circa 2 milioni di persone, nella giornata dell’11 gennaio, sono scese in piazza nella città di Parigi per manifestare.

Il motivo dell’attentato, stando a ciò che è stato poi affermato dalle autorità mussulmane jihadiste, sarebbero state le ripetute vignette realizzate dal giornate francese, che sarebbero state irrispettose verso Maometto e verso molte autorità religiose islamiche. Le voci che si sono sollevate si muovono tutte in difesa di Charlie Hebdo e dei contenuti prodotti dal giornale. Ma sarebbe interessante sapere se anche oggi sarebbe così.

IL CASO RUSHDIE

La discussione sale nuovamente agli onori delle cronache in seguito a quanto sta avvenendo nelle ultime ore. Il capo del Pasdaran (Corpo delle guardie della rivoluzione islamica) hanno minacciato di morte la direzione di Charlie Hebdo. Una situazione che fa tornare in mente ciò che è avvenuto a Salman Rushdie. Lo scrittore indiano, naturalizzato britannico, è stato accusato per la produzione della sua opera “I versi satanici“. Nella suddetta opera, avrebbe realizzato contenuti che sono stati ritenuti dalle autorità religione islamiche oggetto di blasfemia e offesa verso Maometto. Nel 1989 l’ayatollah Ruhollah Khomeyni, ora defunto, ha emanato una fatwa che decretò la condanna a morte dell’autore. E il 12 agosto 2022, dopo che la fatwa è stata reiterata in quanto reputata significativa per l’intera religione islamica, Rushdie è stato accoltellato e gravemente ferito a New York.

Le autorità islamiche mettono in guardia Charlie Hebdo in quanto l’epiologo per la direzione del giornale francese potrebbe essere la stessa. “Questi individui francesi pensino al destino di Salman Rushdie“, affermano le principali cariche islamiche. La promessa è quella di una vendetta contro le vignette che ironizzavano e offendevano Maometto e la religione islamica. Una delle ultime, pubblicata proprio lo scorso 7 gennaio, a 8 anni dalla strage, a sostegno delle donne in Iran. Ovviamente, scatenando la dura reazione del Governo di Teheran.

ESSERE CHARLIE HEBDO OGGI

Appare sicuramente chiaro che per vivere in un modo in democrazia, la libertà di stampa, di satira e, più in generale, di espressione è un diritto sacrosanto che non può essere negato. Charlie Hebdo è nato con questa linea editoriale e l’ha sempre mantenuta. Anche attirandosi le ire, le critiche e le proteste di tutto il mondo. Dalla religione alle stragi (celebri anche molte vignette che ironizzavano sui terremoti in Italia), nessun caso di cronaca globale sfugge alle matite del periodico francese.

Tocca, dunque, capire da che parte stare. Un po’ come con il black humor, che alcuni odiano profondamente, alcuni gradiscono di buon lena, e alcuni pensano di apprezzarlo, senza conoscere fino a che punto ci si può spingere. Inevitabilmente, si deve prendere una posizione. Quanti di quelli che sono “stati Charlie” 8 anni fa ora lo sarebbero ancora? Quanti lo son stati solo perchè divenne un caso mediatico, dalla quale non si poteva essere esenti? E quanti, invece, si trovano dalla parte degli jihadisti.

Chiariamo una cosa, qui non si vuole fare i terroristi. Essere contro Charlie Hebdo non significa giustificare le stragi e gli attentati. Significa, però, comprendere come alcune mosse, seppur non condivisibili, nascano da sentimenti che possono essere comuni. Il modo in cui, poi, questi sentimenti vengano tramutati in azione, se si tratta di attentati, è ovviamente un altro discorso. Che può essere, anch’esso, condivisibile o meno.

Charlie Hebdo oggi fa ancora così tanto scandalo? A quanto pare sì. Forse anche di più, perchè dopo essere stati tutti Charlie nel 2015, ora qualcuno si sta accorgendo che non avrebbe voluto esserlo. I “non sono razzista ma…” vanno a braccetto con questo ideale, per il quale si sposa una causa fin quando non ci tocca in prima persona. Perchè razzismo non è solo odio misogino, razziale, culturale, religioso o sociale finalizzato alla violenza. Razzismo è anche solo riconoscersi in una classe di appartenenza, nella quale ci si vuol sentire protetti e mai vulnerabili.

In conclusione, “essere Charlie” oggi è possibile. Ma la scelta, indubbiamente, sarà molto più approfondita e ragionata. Non si è Charlie solo per moda. Lo si è, se si crede veramente in ciò che il quotidiano francese diffonde e produce.

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