Elvis di Baz Luhrmann: è davvero un capolavoro?

di Nina D'Amato
8 Min.

Presentato fuori concorso alla 75a edizione del Festival di Cannes, Elvis è un film quasi onirico, un tributo alla leggenda del Rock and Roll. Un biopic sui generis scritto e diretto da Baz Luhrmann che racconta la storia del mito di Elvis e del suo Mangiafuoco.

Elvis cresce in un quartiere povero e prevalentemente nero di Tupelo. Abbraccia la cultura, s’innamora del gospel e attraverso la sua voce fa conoscere al mondo intero il genere afroamericano del Blues. L’uomo che, con la sua musica e le sue performance, ha infiammato intere generazioni incontra l’eclettica regia di Buz Luhrmann fondendosi in un’opera omaggio che non ha pretese di essere storicamente accurata. Quello del regista de Il grande Gatsby è più un film per Elvis anziché su Elvis.

Un reverendo mi disse: quando hai cose troppo pericolose da dire, canta.

Dal film Elvis

Elvis, tra fortuna e rovina

Il film narra la vita e la musica di Elvis Presley, interpretato da Austin Butler, attraverso l’intricato rapporto con il suo manager Tom Parker. Il sipario si apre su quello che sembra essere l’ultimo atto della vita del colonnello che, giunto al termine della sua vita, decide di raccontare la propria versione dei fatti. È cosi che la pellicola ci trasporta indietro nel tempo partendo dagli esordi di Elvis fino al raggiungimento di una fama senza precedenti. Un arco temporale che si dipana in vent’anni e sullo sfondo la stravagante America di quegli anni.

Tom Hanks riveste il ruolo dell’uomo che ha tirato i fili dell’intera carriera di Elvis, il colonnello Tom Parker. Lo fa in modo spietato, quasi caricaturale, un’interpretazione nuova e cinica che si discosta da pellicole quali Forrest Gump o The Terminal. Primo manager nella storia dell’industria musicale ci racconta come ha creato e al contempo distrutto e imprigionato in una gabbia d’oro la leggenda Presley. Un tentativo disperato di nascondere le sue colpe sulla morte del cantate più celebre di tutti i tempi. L’animo sensibile di Presley, ferito dal lutto della madre, viene soppresso dall’imbonitore Parker. Diventerà schiavo del suo successo, merce esposta nelle splendide vetrine di Las Vegas costretto da ricatti economici, abuso di sostanze e manipolazioni psicologiche.

In quel momento fu sacrificato Elvis l’uomo e nacque Elvis il dio.

Dal film Elvis

Elvis, l’eccesso come chiave

Con uno stile sopra le righe, Baz Lurhmann sposa perfettamente quella che è la storia di Elvis Presley. Una cosa è certa: questo è un film che o si ama o si odia. Un montaggio frenetico, continui cambi d’inquadratura e un’esasperazione dei contenuti che ricorda quasi quella dei cartoni animati. Un inizio senza dubbio sfiancante e caotico che rallenta nella seconda parte del film in cui i toni diventano più cupi e la narrazione più complessa. Un passaggio dagli esordi al periodo della leva militare, passando per la sua storia d’amore con la moglie Priscilla fino alla tragica morte della madre. Il film racchiude tutto e nulla, fa luce sulla vita del cantante senza però scendere mai nei dettagli. In questa pellicola Elvis viene raccontato attraverso l’effetto che fa alle masse, vengono omesse molte parti della vita privata per fare spazio all’artista, alle performance che hanno conquistato il pubblico e lo hanno reso un’icona di stile. In quanto al trucco di Tom Hanks, la candidatura ai Razzie Awards converrà con me sul fatto che sia davvero mal riuscito. [leggi l’articolo sulle candidature Razzie Awards]

La scelta di Austin Butler nei panni di Elvis è stata forse la scelta vincente. L’attore infatti ritrova nella sua esperienza personale il dolore della perdita della madre entrando così in stretto contato con quelli che sono i sentimenti provati dal suo personaggio. La chiave della sua interpretazione, oltre a una preparazione di due anni in cui Butler ha affinato il dialetto del sud e fatto tesoro delle movenze del Re, è il Metodo Stanislavskij. Tutte le canzoni cantate da Elvis in età giovanile sono state realizzate da Butler lasciando la versione originale solo per quelle in età adulta. Un’immersivo studio dei modi di fare, di ballare, degli affanni e del vissuto di Presley gli ha assicurato una delle sue interpretazioni più preziose. Il giovane attore infatti ha ottenuto una nomination agli Oscar, vinto un Golden Globe e un premio BAFTA come Miglior Attore Protagonista.

Elvis, lo spettacolo del Re

Realizzare un biopic su personaggi così celebri e intramontabili è sicuramente una lama a doppio taglio. Si compiono delle scelte e si omettono dei particolari. La scelta del regista di Moulin Rouge è quella forse di misticizzare la figura di Elvis, renderla intramontabile anche per le nuove generazioni raccontando la sua storia attraverso la splendida vetrina dell’America degli anni ‘50. Tra caos, lustrini, passi di danza e proiettori la vita dell’icona viene raccontata tra grandi successi, momenti bui e dietro le quinte. L’influenza musicale e culturale afroamericana che Elvis aveva ereditato trova un piccolo spazio tra l’alternarsi di varie scene nel corso del film, forse non valorizzato abbastanza. Lurhmann decide di non avvalersi unicamente di uno scontato utilizzo di musiche appartenenti ad Elvis stesso. Difatti oltre alle cover di Butler, vi sono canzoni contemporanee come “If I Can Dream” dei Måneskin e brani completamente al di fuori del periodo storico narrato, come accaduto anche in Moulin Rouge

Se non mi muovo non so cantare

Elvis

In conclusione

Elvis è sicuramente un film che va oltre i canoni del genere. Baz Luhrmann ha un modo tutto suo di raccontare la storia. Se lo si guarda senza troppe pretese, senza ricercare un film biograficamente accurato, può essere anche una buona visione. Un film che intrattiene nelle sue due ore, una fiaba americana avvincente, ma che non mi ha convinta del tutto, forse viene un po’ meno il suo intento di raccontare Elvis alle nuove generazioni. Lo consiglio per chi vuole vedere la miglior interpretazione di Austin Butler o a chi piace lo stile travolgente di Luhrmann. Un barocco, luccicante ed esplosivo omaggio al Re, ben riuscito se lo si intende come tale.

Scritto da Nina D’Amato


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