Dove l’aborto è ancora criminalizzato, il caso del Marocco

di Mirko Aufiero
4 Min.

Aborti clandestini, esclusione sociale, povertà e rischio di reclusione: il rapporto di Amnesty International sulla criminalizzazione dell’aborto in Marocco

Il Marocco è uno di quegli Stati dove l’aborto è ancora illegale nella gran parte dei casi. Può essere praticato soltanto per salvare la salute o la vita della madre, con l’autorizzazione del marito o di un medico.

In tutti gli altri casi l’aborto è punito – ma non per questo non praticato clandestinamente – con pene da 6 mesi a 2 anni per chi abortisce. Chi invece procura o tenta di procurare l’aborto deve affrontare da 1 a 5 anni di carcere.

Inoltre, «incitare all’aborto», che sia parlandone in pubblico o distribuendo materiale sul tema, è un reato punibile con pene fino a 2 anni di carcere. A questa situazione si aggiunge la criminalizzazione delle relazioni sessuali tra persone non sposate, con pene da 1 mese a un 1 anno di carcere.

Nel quadro di impossibilità di accedere all’aborto tramite percorsi legali, le donne marocchine sono spesso costrette a rivolgersi alle pratiche clandestine, non sicure e costose.

A parlarne è il rapporto pubblicato a maggio da Amnesty International, intitolato «La mia vita è rovinata: il bisogno di decriminalizzare l’aborto in Marocco».

Carcere e stigma sociale

http://www.dmitrimarkine.com/

Nel rapporto di Amnesty International si evidenzia come le norme del Marocco sul tema violano diversi diritti umani, tra cui il diritto alla vita, alla salute sessuale e riproduttiva, alla non discriminazione e alla stessa protezione sotto la legge.

Le donne marocchine in gravidanze nate fuori dal matrimonio sono quelle che devono affrontare le sfide maggiori. Da un lato troviamo le leggi che criminalizzano l’aborto e le relazioni sessuali al di fuori del vincolo coniugale. Dall’altro abbiamo lo stigma sociale, che si trasforma nell’ostracismo da parte della famiglia e nell’isolamento sociale che «privano le donne non sposate delle risorse economiche e sociali necessarie per crescere un bambino».

Un caso particolare è quello delle donne la cui gravidanza è il risultato di uno stupro. Il Codice Penale e il Codice di Procedura Penale marocchino presentano numerose lacune, tra cui la mancanza di «specifiche linee guida per la segnalazione, l’indagine e il perseguimento della violenza di genere».

Le carenze delle autorità giudiziarie nel perseguire i crimini contro le donne porta ad una scarsa «percezione di poter ottenere un rimedio/cercare giustizia». Soltanto il 10,4% delle donne vittime di violenza fisica o sessuale sporge denuncia, creando un «clima di impunità per gli stupratori».

Molte donne rimaste incinte a seguito di una violenza sessuale scelgono inoltre di non denunciare per non portare all’attenzione delle autorità la situazione, che le impedirebbe di tentare la via dell’aborto clandestino.

In molti casi si tenta di praticarlo in autonomia tramite diversi metodi. Da un’inefficace (e pericolosa) combinazione di erbe, passando per l’uso di farmaci, alla violenza fisica. I metodi sono molto vari, frutto del mancato accesso a informazioni riguardanti l’aborto, vietate per legge.

Quando non si riesce a praticare l’aborto clandestinamente

Un gran numero di donne che non riesce ad accedere all’aborto legale è costretto a portare a termine le gravidanze, spesso a costo di trasferirsi o vivere nascoste per vitare le «minacce di violenza delle proprie famiglie».

Ciò comporta anche il venir meno del supporto economico famigliare – così come quello statale – e molte di loro non ricevono assistenza medica durante la gravidanza.

L’esclusione sociale si ripercuote anche nel contesto lavorativo, con molte donne licenziate o che non riescono a trovare lavoro. In tutto ciò viene anche a mancare la figura del padre, in quanto la legislazione marocchina riconosce la paternità solo all’interno del matrimonio.

I figli nati da donne non sposate non ottengono nessun diritto nei confronti del proprio padre biologico. Non possono quindi ereditare il cognome, né ricevere supporto finanziario, né tantomeno ereditare.


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