Aria di morte: cosa fare quando non c’è più nulla da fare

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L’essere umano è in grado di ragionare sulla propria esistenza (nel bene e nel male). Una volta divenuti consapevoli della propria fine, non si può tornare indietro. Da allora, la minaccia di morte rimane latente.

L’uomo è un corpo, propriamente un corpo in relazione. Ma ha una data di scadenza (destinata, prefissata, o anche semplicemente capitata), e in quanto tale, è destinato a finire, a smettere di esserci.

paura della morte

Paura della morte e mente umana: analisi di una fattualità contro cui non si può nulla

Questa paura è una reazione emotiva naturale e ragionevole. Si scontra frontalmente con il nostro istinto di sopravvivenza e al contempo lo nutre.

Essa assume nuove forme di manifestazione con il passare del tempo e il sopraggiungere della vecchiaia.

Tra i tre e i cinque anni, i bambini comprendono parzialmente la morte: la concepiscono come reversibile.

Fino ai nove anni, la morte è personificata sotto il nome di qualche personaggio o spirito e spesso compaiono le tipiche paure di fantasmi e mostri.

Generalmente, tra i nove e i dodici anni, il bambino riesce a intenderla come uno stato irreversibile, permanente e inevitabile.

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Tanatofobia: adolescenza ed età adulta

In adolescenza, l’ansia di morire si fa prepotente, ma la reazione è curiosa: essi la sfidano mettendosi in pericolo.

Man mano che ci avviciniamo al culmine della vita, tuttavia, la preoccupazione per la morte diventa ripetitiva e scomoda.

La tanatofobia è il terrore della possibilità di morire e dovrebbe essere trattata con un approccio psicoterapeutico che aiuti a concentrarsi sui pensieri che alimentano i sintomi dell’ansia.

La morte e le catastrofi: reazioni umane

Un evento, per essere definito «disastro», deve avere un impatto traumatico collettivo e deve suscitare reazioni collettive sia a livello pratico (comportamenti collettivi, azioni sociali) sia a livello emotivo e immaginario.

Secondo Smith (1983) la possibilità di fronteggiare la realtà della morte incoraggiandosi l’un l’altro all’interno del nucleo familiare permette una più rapida elaborazione del lutto.

Drabek (1975), pur sottolineando che ogni evento ed ogni individuo sono in sé unici, intravede una certa regolarità e prevedibilità nei comportamenti successivi a un disastro e distingue quattro fasi generali:

  1. fase di stordimento e confusione
  2. fase di soccorso iperattivo ed altruistico
  3. fase di identificazione col gruppo
  4. fase di normalizzazione con sentimenti ambivalenti

Scritto da Alessia Giurintano


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