Come i gerarchi nazisti sono fuggiti in Sudamerica

di Mirko Aufiero
9 Min.

Dopo la Seconda guerra mondiale un numero imprecisato di nazisti ha lasciato l’Europa diretto verso il Sudamerica, il Sudafrica o il Medio Oriente. Nel rendere ciò possibile, hanno avuto un ruolo importante la Chiesa e le dittature filo-naziste sudamericane.

Al termine del secondo conflitto mondiale, un gran numero di gerarchi del regime nazista ha cercato di sfuggire alla cattura da parte delle forze alleate, trovando asilo in diverse aree del mondo. Ciò è stato reso possibile da una fitta rete di relazioni intessute tra i vertici nazisti, la Chiesa e i governi amici sudamericani ed europei.

Grazie alla loro collaborazione sono state create le “ratlines” (vie dei topi), che dalla Germania hanno permesso la fuga dei criminali di guerra tedeschi.

Tra i più famosi criminali nazisti fuggiti dall’Europa troviamo Adolf Eichmann, Klaus Barbie e Josef Mengele. Alcuni di loro sono stati catturati e processati, ma molti altri hanno terminato la propria vita senza pagare per i crimini commessi.

Le “ratlines”: la fuga dall’Europa

Letters to a Nazi | Al Jazeera English

Dopo la caduta del Terzo Reich, i vertici nazisti si unirono ai milioni di profughi tedeschi diretti verso l’Italia e la Spagna.

Gli itinerari principali della fuga erano tre: il primo partiva da Monaco di Baviera, passava per Salisburgo e, tramite Genova, arrivava a Madrid; il secondo seguiva lo stesso percorso fino a Genova, dalla quale ci si imbarcava per il Medio Oriente; il terzo toccava sempre Monaco, Salisburgo e Genova, ma terminava in America Latina.

In tutti gli itinerari era prevista una tappa in Italia, dove i vertici nazisti potevano contare sull’appoggio di alcuni membri del clero, i quali mettevano a disposizioni alloggi e protezione in attesa della partenza.

Una volta arrivati in Sudamerica o in Medio Oriente, i nazisti trovavano governi disposti ad accoglierli, in primis l’Argentina di Juan Domingo Perón. Il paese sudamericano, infatti, ospitava una forte comunità tedesca e italiana già da prima della guerra e aveva accolto con simpatia l’ideologia nazista.

O.D.E.SS.A: l’organizzazione per la fuga dei nazisti

Dopo la Seconda guerra mondiale un numero imprecisato di nazisti ha lasciato l'Europa diretto verso il Sud America, il Sudafrica o il Medio Oriente. Nel rendere ciò possibile, hanno avuto un ruolo importante la Chiesa e le dittature filo-naziste sudamericane.

Un ruolo importante, ma mai chiarito del tutto, nel coordinare le fughe è stato svolto dall’organizzazione O.D.E.SS.A. (Organizzazione degli ex-membri delle SS). Nata verso la fine della guerra, essa costituiva una rete di contatti tra ex ufficiali delle SS che, con l’aiuto di altri soggetti, organizzava le fughe.

Sul funzionamento O.D.E.SS.A gli storici nutrono ancora diversi dubbi. Secondo alcune teorie essa aveva una struttura centrale di coordinamento, mentre secondo altri ne era priva; inoltre, i metodi con cui l’organizzazione progettava le fughe e le collaborazioni ottenute sono ancora oggetto di dibattito.

Ciò che sembra essere certo è che O.D.E.SS.A sia nata nell’agosto del 1944 a Strasburgo, durante una riunione dei più influenti uomini della Germania nazista. In quel momento, venne stabilito che a finanziare le fughe sarebbero stati gli imprenditori tedeschi, mentre i fuggitivi si sarebbero occupati di mettere in salvo i beni e i capitali all’estero. Inoltre, vennero gettate le basi per la creazione delle “ratlines” tramite i contatti dei suoi esponenti.

Come riportato in un verbale dei colloqui avvenuti a Strasburgo, in una riunione veniva affermato:

«La direzione del Partito è consapevole che dopo la sconfitta della Germania alcuni dei suoi capi più noti potrebbero essere portati in giudizio come criminali di guerra.

Sono state perciò prese delle misure per inserire i capi meno in vista del Partito in varie aziende tedesche in qualità di esperti e di tecnici.

Il Partito è pronto ad anticipare agli industriali grandi somme affinché ciascuno possa dare vita all’estero a una organizzazione segreta per il dopoguerra, ma esige in cambio che le riserve finanziarie siano poste a disposizione all’estero, sì che dopo la sconfitta possa di nuovo sorgere un forte Reich tedesco».

Il ruolo della Chiesa

What did the Vatican know about the Nazi escape routes? – DW – 03/01/2020

Un altro punto controverso delle fughe riguarda il ruolo giocato da diversi membri della Chiesa cattolica e della Croce Rossa.

Già durante la guerra, i vertici delle gerarchie ecclesiastiche in Ungheria, Croazia, Ucraina e Slovacchia avevano collaborato con i nazisti. Inoltre, molti membri della Chiesa continuarono a sostenere i regimi nazi-fascisti anche dopo che il Vaticano decise di non farlo.

Alla fine della guerra il nemico numero uno divenne il comunismo, che preoccupava la Chiesa per il suo carattere laico; proprio la lotta al comunismo fu un elemento che portò a convergere gli interessi dei nazisti e di parte delle gerarchie ecclesiastiche.

Diversi conventi e monasteri divennero snodi fondamentali delle “ratlines”; in primis il Convento Antonianum di Bolzano, da cui i fuggiaschi raggiungevano Genova o Roma. Fu proprio un presbiterio italiano, Alois Pompanin, vicario di Bressanone, a fornire i documenti necessari alla fuga a numerosi nazisti, tra cui Adolf Eichmann ed Erich Priebke.

Riguardo la Croce Rossa Internazionale, invece, è stato dimostrato come alcuni suoi membri rilasciavano nuovi passaporti con nomi falsi ai fuggiaschi, insieme a visti per l’Argentina di Perón.

Altro punto cardine delle ratlines fu il vescovo Alois Hudal. Convinto antisemita e anticomunista, Hudal riteneva possibile un punto di incontro tra nazismo e Chiesa – ipotesi respinta dalla maggior parte dei leader religiosi -, e fu uno dei principali organizzatori delle fughe dei criminali nazisti.

Egli si occupava sia di mediare per l’ottenimento di documenti falsi, sia della logistica delle fughe. Proprio tramite Hudal riusciranno a scappare personaggi come Josef Mengele, l’“Angelo della morte di Auschwitz” e lo stesso Eichmann.

La scelta del Sudamerica

Dopo la Seconda guerra mondiale un numero imprecisato di nazisti ha lasciato l'Europa diretto verso il Sud America, il Sudafrica o il Medio Oriente. Nel rendere ciò possibile, hanno avuto un ruolo importante la Chiesa e le dittature filo-naziste sudamericane.

Uno studio sulla scelta dei nazisti di fuggire in Sudamerica è stato condotto dal giornalista e storico argentino Uki Goñi, il quale ha pubblicato i risultati delle sue ricerche nel libro “Operazione Odessa”.

Goñi sostiene che molti stati sudamericani si siano predisposti alla fuga dei nazisti già da prima del termine della guerra, e che nel coordinare tali operazioni abbia avuto un ruolo attivo il Vaticano. Nel libro vengono documentati gli incontri avvenuti alla sede della presidenza argentina, l’invio di agenti in Europa per organizzare le fughe e i le forniure di documenti dal Vaticano e dalla Croce Rossa.

Il motivo di tali azioni sarebbero stati diversi, in primis l’essere paesi neutrali, a maggioranza cattolica e con governi filo-nazisti (specialmente Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay).

I “cacciatori di nazisti” e la ricerca

Simon Wiesenthal | Biography & Facts | Britannica

Negli anni successivi alla guerra numerose organizzazioni hanno cercato di rintracciare i gerarchi nazisti fuggiti dall’Europa. Tra queste, una delle più famose è il Centro Simon Wiesenthal, il cui omonimo fondatore è stato un sopravvissuto all’olocausto e un “cacciatore di nazisti”.

Wiesenthal, dopo la guerra, ha dedicato la sua vita a rintracciare i criminali di guerra nazisti, contribuendo alla cattura di Eichmann e di Franz Stangl.

Nonostante le ricerche svolte a partire dal secondo dopoguerra, non siamo ancora ancora in grado di determinare il numero di nazisti fuggiti dalla Germania. Secondo il Centro Wiesenthal, si tratta di 300 criminali di guerra e di migliaia di collaboratori del Terzo Reich soltanto in Argentina.

Il Centro, nel 2005, stimava che in Europa ci fossero oltre mille ex-gerarchi nazisti ancora in vita, e da allora non ha interrotto le ricerche, portate avanti con campagne intitolate “Operation last chance”.

Fonti: Il Post, BBC News, Cnn, Focus

di Mirko Aufiero


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