Call me by your name: un manifesto generazionale senza tempo

di Michele Ponticelli
15 Min.

Trama

Ci troviamo nel cremasco in una calda estate del 1983; protagonista della storia è Elio (Timothée Hal Chalamet), un ragazzo introspettivo ed appassionato di musica e letteratura: ha 17 anni, vive in tranquillità e nel “dolce far niente” la sua estate, fino a quando non arriva dall’America Oliver (Armie Hammer) venuto in Italia per completare la sua tesi sulla cultura greco-romana, oltre che a fare esperienza sul campo lavorativo con l’aiuto del Professor Perlman (Padre di Elio interpretato da Micheal Stuhlbarg). Il Sig. Perlman organizza annualmente questo soggiorno per studenti, quindi nulla di nuovo per la propria famiglia e soprattutto per Elio.
Ma quest’anno l’arrivo di Oliver scatenerà in lui un risveglio sentimentale che lo scombussolerà totalmente: una di quelle uniche, carnali sensazioni che si vivono quando si è adolescenti col mondo in mano, nonostante tutto sembri infierire su di noi. Il tutto è accompagnato dalla leggiadria delle sensazioni di libertà e spensieratezza donate dall’estate.

Recensione

Definito da Paul Thomas Anderson “il miglior film dell’anno” (l’annata in questione è il 2017), per quanto l’anno appena citato non sia stato particolarmente florido di film di qualità, “Call me by your name” non ha bisogno di contendenti per dimostrare la sua bellezza e superiorità. Il termine bellezza non è casuale: “la bellezza”, volendo definirla anche attraverso l’espressione greca kalokagathia, ovvero intesa come ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo, è un aspetto che troviamo spesso nel film. La pellicola è, infatti, un’opera carnale, fisica e soprattutto di desiderio fisico: basti pensare al fatto che l’arrivo di Oliver avviene solo dopo la presentazione fisica e psicologica degli altri personaggi, quasi come se lo spettatore, salendo delle scale, trovi alla fine una rappresentazione perfetta della suddetta kalokagathia, impersonata in questo caso dallo stesso Oliver.

Timothée Hal Chalamet nei panni di Elio nel film “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

La bellezza ricercata da Guadagnino non si trova solo nella bellezza fisica, ma anche in quella storica e naturale.
Per quanto concerne la bellezza naturale è sufficiente pensare all’ambientazione ricreata magistralmente da Samuel Deshors (scenografo del film): Guadagnino ha infatti deciso di girare il film nelle sue zone, non rispettando dunque la storia originale del romanzo (ambientata sulla riviera ligure). La scelta è ovviamente dovuta alla familiarità che il regista ha con la zona, che gli ha permesso di compiere un lavoro certosino con quello che poi è effettivamente diventato lo sfondo del film. Guadagnino e Deshors non hanno lasciato nulla al caso: ogni elemento che osserviamo sul grande schermo si trova nell’esatta posizione per cui era stato pensato, quasi creando una sottotrama nostalgica, dedicata all’Italia degli appena iniziati anni ’80, andando a venerizzare quei tempi ormai perduti dove si pensava a vivere la vita in ogni attimo seguendo il pensiero del grande poeta Orazio, cogliendo il giorno, senza avere troppi dubbi sul futuro e senza rimuginare troppo sui momenti ormai passati.

Elio (Timothée Hal Chalamet) e Oliver (Armie Hammer) in una scena del film “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

Quando parliamo di bellezza storica invece differenziamo i numerosi riferimenti inseriti dal regista italiano (fresco inoltre del Leone d’argento per la Regia al festival di Venezia 2022). Le prime cose che ci vengono in mente sono sicuramente i corpi perfettamente scolpiti di arte ellenica dei Bronzi di Riace, studiati dal Sig. Perlman. D’altronde, come accennavo prima, essi sono un riferimento alla perfetta bellezza estetica e agli stessi protagonisti: quello di Elio così esile ed insicuro quanto caldo di scoperta e di sentimento, corrisponde quindi al corpo di un adolescente alla ricerca del proprio Io interiore, che insegue com’è giusto che sia ad occhi chiusi il proprio istinto, finendo per contrapporsi al corpo alto, massiccio e robusto di Oliver, che rappresenta la fisionomia perfetta di un “uomo finito” che inizia ormai ad addentrarsi nel mondo del lavoro e che quindi si prepara ad affrontare la vita adulta. Ma nonostante questa sua apparente maturazione, come vedremo nella parte finale dell’opera, anche lui come uno spensierato adolescente perso nel percorso della vita trova rifugio nel totale trasporto passionale che prova nei confronti del suo innamorato, abbassando la sua razionalità e facendo prevalere i sentimenti. Assistiamo quindi ad un contrasto esistenziale tra i due soggetti, che porta ad un legame morboso.

Scena presa dal film “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

C’è poi l’aspetto storico-politico: troviamo una descrizione precisa della situazione politica vissuta dagli italiani in quel periodo storico, con un’Italia descritta minuziosamente con vari elementi come i monumenti in piazza in memoria dei caduti, i pensionati chiusi nei bar a giocare a carte, il dialetto, i discorsi politici dopo pranzo. In una scena del film in particolare, assistendo ad una discussione politica tra la famiglia di Elio, abbiamo modo di osservare proprio la suddetta descrizione: i personaggi hanno un’accesa discussione sul governo di Bettino Craxi e sulla situazione del Pentapartito (una coalizione di governo in Italia durata 10 anni dal 1981 al’91 formata dall’intesa di vecchi partiti del centro-sinistra). Anche qui notiamo come il film, anche trattando temi “freddi” come può essere vista da alcuni la politica, pone sempre un occhio nostalgico a quei tempi ormai passati: la visione offerta da Guadagnino è infatti quella di un’Italia ancora soggetta al progresso e alla crescita, un’epoca dove regna l’ottimismo tra le persone (anche se si noteranno presto segni di un cambiamento che poi si mostrerà fatale). In questo contesto le persone godono degli ultimi momenti di una vita semplice e sufficiente a sè stessa, in cui un’estate senza viaggi può rivelarsi l’esperienza più passionale che si possa vivere.

Elio (Timothée Hal Chalamet) nella famosa scena di autoerotismo con una pesca tratto dal film del 2017 “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

Fino ad ora, ho descritto “Chiamami col tuo nome” come un film estramamente carnale e passionale, ma in realtà ciò non è altro che l’evoluzione ultima di una ben più articolata trasformazione. Infatti questa pellicola può essere paragonata ad una “bomba ad orologeria”, poiché per tutta la prima parte del film l’amore è prettamente “platonico”, fatto di sguardi, respiri sincronizzati, carezze, contatti carnali indesiderati oppure inconsciamente voluti. Due corpi alla costante ricerca dell’altro ma allo stesso momento in costante riparo, quasi come se fossero terrorizzati dai loro sentimenti.
In questo contesto il dilemma “È meglio parlare o tacere al costo di morire?” affligge Elio. Non sapendo se esprimere il proprio tormentoso sentimento di attrazione e desiderio verso il più grande e maturo Oliver, sarà la madre a dirgli che si può parlare dei propri sentimenti, si può dire all’altro cosa proviamo, anche assumendosi il rischio di un rifiuto, di una sofferenza.

Elio (Timothée Hal Chalamet) e Marzia (Esther Garrel) nel film del 2017 “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

Call me by your name” è un film che comunica quindi con i gesti, con azioni: esemplare è il comportamento che Elio assume con Marzia (Esther Garrel), la ragazza con la quale perde la sua verginità: la bacia, la tocca, la accarezza, palesa la sua attrazione sessuale nei confronti della ragazza. Con Oliver, al contrario, trattiene tutto all’interno del suo esile corpo, cercando di contenere l’estrema passione del ragazzo: basta pensare alla scena dove Elio segue suo padre ed Oliver al Lago di Garda per analizzare dei reperti trovati sul fondale: quando ad un certo punto, Oliver porge la mano ad Elio il ragazzo non lo tocca minimamente, decidendo di usare come tramite (per la stretta di mano) un arto di una statua antica ritrovata nel Lago. Questo ci fa comprendere come questo rapporto non si limiti alla convenzionale attrazione fisica e mentale, e come quindi vada oltre ogni tipo di rapporto sessuale o attrazione prettamente platonica: siamo dinanzi ad un qualcosa di non ancora descritto.

Scena dal film “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

Chiamami col tuo nome e io ti chiamerò col mio…” Questa è la frase pronunciata da Oliver alla fine del rapporto sessuale avuto con Elio, frase cardine del film dal quale prende il titolo la pellicola stessa. La profondità di questa frase è difficile da descrivere con delle parole, poiché vi sono emozioni che è possibile comprendere solo se vissute. I due si rispecchiano narcisisticamente assumendo momentaneamente l’identità dell’altro per scappare dalla scadente realtà; si isolano dal mondo perché sanno che questo “gioco di ruolo” non funzionerebbe nel monotono “mondo esterno”. Chiudendosi nella loro intimità e fingendosi l’uno l’altro essi riescono dunque a condividere la loro tristezza causata da qualcosa che è appena nato, ma che è destinato a spezzarsi per colpa del tempo beffardo, delle estati che corrono in fretta senza fermarsi mai. Elio all’inizio del film afferma: “Qui si aspetta che finisca l’estate, poi si aspetta che torni l’estate“: col senno di poi, la frase risulta alquanto profetica.
Alla luce di ciò è possibile quindi comprendere la semplicità di immedesimazione nel personaggio di Elio, poiché anche lui è vittima di se stesso (come lo siamo un pò tutti), e questo accade solo verso la fine del periodo di alloggio di Oliver, quando scopre che anche quest’ultimo nutriva gli stessi sentimenti che egli stesso provava.

Elio (Timothée Hal Chalamet) in delle scene finali del film del 2017 “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

Infine, il film che ha lanciato la carriera dell’ormai noto Luca Guadagnino, abbraccia un ulteriore tematica importante: la sofferenza. Una sofferenza data dalla fugacità del tempo, dal suo perpetuo scorrimento che causa la fine di un periodo unico come un’estate, che nel caso del protagonista non porta via solo il calore e le belle giornate ma un sogno adolescenziale, porta via la spensieratezza, porta via la libertà d’amare una persona che forse non rivedrà più.
(Differenza sostanziale rispetto al romanzo, che parla della vita di Elio e Oliver nell’arco dei vent’anni dopo l’accaduto: scopriamo che loro continueranno a vedersi, ma saranno incontri dove non riusciranno mai ad esprimere a parole quell’esperienza seppur breve ma di un’intensità unica che li ha per sempre uniti ed il cui ricordo mai li ha abbandonati e mai lo farà).

Elio (Timothée Hal Chalamet) e Oliver (Armie Hammer) nel film del 2017 “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

Quando meno te lo aspetti, la natura ha astuti metodi per trovare il tuo punto più debole. Tu ricordati che sono qui. Adesso magari non vuoi provare niente, magari non vorrai mai provare niente e, sai, magari non è con me che vorrai parlare di queste cose. Però prova qualcosa, perché l’hai già provata. Senti, avete avuto una splendida amicizia, forse più di un’amicizia, e io ti invidio. Al mio posto, un padre spererebbe che tutto questo svanisse, pregherebbe che il figlio cadesse in piedi ma non sono quel tipo di padre. Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite che finiamo in bancarotta già a trent’anni. E abbiamo meno da offrire ogni volta che troviamo una persona nuova, ma forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa…che spreco.
Ho parlato a sproposito? Allora, dico un’ultima cosa. Per chiarire meglio. Forse ci sono andato vicino, ma non ho mai avuto una cosa così. Qualcosa mi ha sempre frenato prima, si è messa di mezzo. Come vivrai saranno affari tuoi, però ricordati: il cuore e il corpo ci vengono dati soltanto una volta e, in men che non si dica, il tuo cuore è consumato e, quanto al tuo corpo, a un certo punto nessuno più lo guarda e ancor meno ci si avvicina. Tu adesso senti tristezza, dolore, non ucciderli, al pari della gioia che hai provato

Professor Perlman (Padre di Elio interpretato da Micheal Stuhlbarg)

Come spiegato in questo saggio monologo dal padre di Elio, dobbiamo vivere tutto ciò che ci accade il più intensamente possibile, senza pensare alle conseguenze delle azioni e neanche a quando questi momenti finiranno: il nostro unico pensiero deve essere quello di vivere al meglio che possiamo. Ed è inutile essere tristi per la fine di qualcosa, perché la tristezza che si prova in quel momento è pari solo alla gioia che abbiamo provato vivendo quel determinato momento. Purtroppo molti adulti perdono l’incoscienza giovanile e crescendo diventano sempre più chiusi e aridi e meno propensi ad ascoltare e alimentare il proprio fuoco interiore.

Scena tratta dal film “Call me by your name” diretto da Luca Guadagnino

In conclusione, nonostante “Chiamami col tuo nome” non sia attualmente un film cult, si è scelto di parlarne lo stesso nella rubrica poiché è un film che dovrà battere solo la “prova del tempo” per entrare nel panorama dei “film cult“. Oltre all’alta qualità del film stesso che è indiscutibile, è il film che ha lanciato la carriera di Timothée Chalamet (attualmente una delle nuove promesse del cinema moderno) e soprattutto ha portato a far conoscere al mondo intero la maestria di Luca Guadagnino. Infine “Call me by your name” risulta essere un vero e proprio manifesto della nostra generazione non solo per le tematiche trattate ma nel modo nel quale vengono trattate che lo rendono un film unico. Ciononostante, la cosa che più lo differenzia dagli altri film del suo genere è come, nonostante sia ambientato nel 1983, risulti ad oggi un film spaventosamente moderno.

Scritto da Michele Ponticelli, supervisionato da Emanuele Fornito


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