La bio-pirateria consiste nel trarre profitto dalla biodiversità, trasferendo le specie presenti in un determinato territorio (spesso non controllato politicamente) presso un altro dotato di caratteristiche simili (ma sotto controllo) per fini commerciali.
La bio-pirateria in Brasile: il caso della foresta amazzonica
La registrazione da parte di multinazionali del settore farmaceutico e della cosmesi di brevetti basati su conoscenze tradizionali autoctone ha innervosito i governi di molti Paesi latinoamericani, particolare il Brasile. Perché?
Per la Rana Kambô, le cui secrezioni velenose contengono un potente analgesico, la deltorfina.
L’uso di questa sostanza per ragioni curative fa parte della medicina tradizionale di numerose tribù indigene dell’Amazzonia.
In occasione della conferenza sulla biodiversità delle Nazioni Unite, gli Stati membri siglarono il Protocollo di Nagoya (2010) che regola l’accesso alla biodiversità al fine di garantire una condivisione equa dei benefici conseguenti al suo sfruttamento economico.

Fenomeno che ha origine dallo sfruttamento coloniale
Nel 1993, l’attivista Pat Roy Mooney coniò il termine “biopirateria” per indicare gli atti di appropriazione indebita o richiesta di esclusività su risorse genetiche e conoscenze tradizionali di un Paese da parte di persone, organizzazioni e aziende estere.
In epoca coloniale quello che oggi definiremmo biopirateria si concretizzava nell’appropriazione di risorse genetiche attraverso il trasferimento di beni come caffè, cacao e zucchero da Africa e America del Sud in Europa.
Attualmente, invece, tra i maggiori protagonisti di queste vicende spiccano le industrie farmaceutiche e quelle nel settore della biotecnologia.

Bio-pirateria oggi: il preoccupante stato delle cose
Nonostante la crescente attenzione sul piano internazionale e la maggiore tutela data da trattati come il Protocollo di Nagaoya, i casi di bio-pirateria sono ancora molti, e spesso i popoli indigeni non hanno le risorse per contrastare le azioni di multinazionali straniere.
Il Protocollo stesso, principale strumento del diritto internazionale, manca di efficaci meccanismi di applicazione, ed è a volte difficile garantire la conformità di Paesi e delle aziende ai suoi standard.
Scritto da Alessia Giurintano
Le foto presenti in questo articolo provengono da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se un’immagine pubblicata risulta essere protetta da copyright, il legittimo proprietario può contattare lo staff scrivendo all’indirizzo email riportato nella sezione “Contatti” del sito: l’immagine sarà rimossa o accompagnata dalla firma dell’autore.