Trama
Patrick Bateman (Christian Bale) è un broker di successo, tanto ricco da possedere un lussuoso appartamento a New York. Membro dell’élite aristocratica newyorkese, Patrick nasconde tuttavia un profondo segreto.
Recensione
Tra i film cult più controversi del nuovo millennio, American Psycho, al di là delle tumultuose vicissitudini di pre-produzione (divergenze sul casting del protagonista, licenziamento della regista, abbandono del progetto), è diventato ormai una pietra miliare che fa eco all’ancor più discusso romanzo omonimo del 1991, nato dalla penna di Bret Easton Ellis. Un film che difficilmente lascia indifferente lo spettatore (che sia inteso in maniera positiva o negativa), soprattutto grazie ad un’interpretazione che valse a Christian Bale il riconoscimento internazionale, tanto da aver avuto, dopo l’uscita nelle sale del film in questione, un vero e proprio slancio artistico, riuscendo ad interpretare ruoli sempre più iconici.

E, osservando la figura del personaggio principale, ci si rende conto di come il successo sia stato sicuramente meritato. Quello di Patrick Bateman è, si capisce, un personaggio complicato, non tanto per la sua esteriorità, piuttosto per la sua interiorità. In un film particolarmente introspettivo, dunque, le difficoltà di immedesimazione ed interpretazione diventano numerose. Riteniamo, tuttavia, che Bale sia riuscito ad entrare in piena sintonia con il protagonista, regalando, lo ripetiamo, una performance davvero impressionante.
Nondimeno, è bene notare come non sia stato solo Patrick Bateman a rendere American Psycho un film di culto: numerose sequenze ad opera della regista Harron sono entrate, ormai, nell’immaginario comune.
Partiamo da una delle sequenze più famose: la sequenza d’apertura. Anche nota come “morning routine”, la prima sequenza dà una panoramica dell’appartamento di Bateman in cui a predominare è il colore bianco: un appartamento lussuoso e, generalmente, ben ordinato. Ma ecco che, alla comparsa sullo schermo del protagonista inizia un monologo interiore (il primo dei numerosi nel corso della storia) che, nell’ambito strettamente narrativo è di chiara funzione introduttiva ma, calandosi nella finzione, la presentazione del personaggio ha in sé stessa due caratteristiche fondamentali di Bateman: narcisismo, egocentrismo.
Attraverso sguardi taglienti e cinici, Christian Bale riesce a tramettere la freddezza e, come si scopre più avanti, la spietatezza del personaggio, esternandone, alla fine del monologo, la sociopatia e il disturbo narcisistico della personalità da cui risulta chiaramente affetto. Di fondamentale importanza è, poi, contestualizzare Bateman all’interno del mondo in cui agisce: in una città ricca di grattacieli (New York, centro commerciale mondiale negli anni ‘80/’90) e, al tempo stesso, quasi sempre uggiosa e grigia, Patrick Bateman è un ricco broker, facente parte dei cosiddetti yuppies, giovani imprenditori che, negli anni ’80, avevano caratterizzato l’ascendente classe imprenditoriale giovanile, portando con sé, naturalmente, tutte le proprie oscurità. Ed è proprio sugli aspetti oscuri di questa classe che Ellis prima e Mary Harron poi hanno voluto porre l’attenzione. Un ritratto che assume ancor più realismo se si analizzano le parole pronunciate dallo stesso Ellis riguardo la nascita dell’idea del libro:
[…] Stavo scivolando in un tipo di vuoto consumeristico che avrebbe dovuto dare fiducia in me stesso e farmi sentire bene riguardo la mia persona ma che mi faceva sentire soltanto peggio e peggio e peggio […] [1]
Bret Easton Ellis

Alla luce di questa affermazione è possibile dunque comprendere come il personaggio di Patrick Bateman non sia altro che l’incarnazione di quel potere invisibile che ha trascinato Ellis nel suddetto “vuoto consumeristico” ed è importante analizzare due caratteristiche: da una parte, la paura che, soprattutto nella prima parte del film, Bateman trasmette agli altri personaggi e allo stesso spettatore è la stessa paura che l’autore ha provato; dall’altro lato Bateman è incarnazione non solo del potere capitalistico alienante ma è egli stesso vittima di questo potere. In un doppio ruolo di soggiogato e soggiogatore in Bateman si crea quindi un netto distacco con la realtà, che si manifesta con i sopraccitati disturbi: partendo da una visione narcisistica del mondo, Bateman rifiuta ogni tipo di sconfitta, anche la più irrisoria, rispondendo con una freddezza e disumanità che solo il potere consumistico a cui si rivolgono gli autori ne è capace.
Basti pensare all’altrettanto famosa sequenza della carta da visita. In un ufficio popolato da uomini rinchiusi nel proprio ego nasce una vera ed agguerrita (anche se mascherata secondo il bon ton borghese) competizione riguardo quale carta da visita sia la più bella. Un ingenuo Paul Allen (Jared Leto) ne esce “vincitore”, suscitando un profondo odio ed una sofferta invidia in Bateman, il quale, senza nessuno scrupolo, adopera celermente un piano per far fuori lo stesso Allen: lo fa ubriacare, lo porta nel suo appartamento (ben tappezzato per evitare di sporcare di sangue il lucidato bianco) e, indossato un impermeabile per proteggere il ben curato completo, con un’ascia lo uccide esternando nel gesto tutta la sua rabbia, il tutto sulle note di Hip to be Square degli “Huey Lewis and the News”, un omaggio agli anni ’80 che, oltre alla cultura pop, sono ricordati come probabilmente gli anni di maggior espansione capitalistico-consumista.
L’uccisione di Allen diviene, tuttavia, l’inizio di un progressivo crollo psicologico da parte di Patrick che, intento a nascondere il delitto, matura sempre più rimorsi. Se in un primo momento cerca di restare indifferente alla cosa, perpretando ulteriori omicidi (dopo un rapporto dall’alto tasso narcisistico Bateman uccide due prostitute nella terza scena più iconica del film), egli cade successivamente in una spirale di crisi, fino a confessare l’omicidio al suo avvocato in preda ad un crollo psicologico e ad un acceso scontro armato con la polizia. È l’avvocato stesso, sorpreso e spaventato dal comportamento di Bateman, a riferirgli che Allen è in realtà vivo. È qui che, all’incredulità di Patrick, si intuisce il suddetto distacco dalla realtà: le azioni omicide compiute dal protagonista vengono messe completamente in discussione, ponendo nello spettatore un dubbio fondamentale: la violenza era vera o soltanto frutto del più profondo e perverso inconscio di Bateman?

American Psycho viene concluso quindi con un lento e progressivo primissimo piano su Patrick Bateman e, con un monologo ancora una volta introspettivo (che dona al film una sorta di ciclicità), vi è l’analisi ultima della psicologia del protagonista:
Non ci sono più barriere da attraversare. Tutto ciò che ho in comune con l’incontrollabile e la follia, la depravazione e il male, tutte le mutilazioni che ho causato e la mia totale indifferenza verso di esse; tutto questo ora l’ho superato. La mia pena è costante e affilata, e io non spero per nessuno un mondo migliore, anzi voglio che la mia pena sia inflitta agli altri, voglio che nessuno possa sfuggire. Ma anche dopo aver ammesso questo non c’è catarsi: la mia punizione continua a eludermi, e io non giungo a una più profonda conoscenza di me stesso. Nessuna nuova conoscenza si può estrarre dalle mie parole. Questa confessione non ha nessun significato.
Patrick Bateman
Si conclude così il quadro psicologico di uno dei personaggi più famosi degli ultimi vent’anni. Un uomo precipitato completamente in un vortice di costante insoddisfazione (che solo il consumismo può suscitare), di freddezza ed efferatezza nel perseguimento dei propri obiettivi (così come ben insegnano i valori morali capitalisti moderni).
Un film che, seppur non raggiungendo i grandi capolavori cinematografici per una limitatezza a tratti tecnica (si riconosce comunque alla regista canadese un buon lavoro), a tratti contenutistica (per certi versi American Psycho deve molto ad opere precedenti come Fight Club), pone alla fine negli spettatori una domanda: siete sicuri che Bateman sia un personaggio così lontano da voi? Siete sicuri, insomma, di non avere nulla in comune?
Scritto da Emanuele Fornito
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2 commenti
dovrebbe essere un “giornale” questo, eppure non perdete mai l’occasione di mettere in cattiva luce tutto ciò che riguarda la destra oppure il capitalismo, fino ad arrivare a dire che la figura di patrick bateman sia così proprio per colpa di esso. in sostanza non avete capito nulla del film o della figura di patrick stessa, ma la sfruttate per screditare per l’ennesima volta degli ideali (che siano politici o economici)
È incredibile come siate così fissati con il nostro appartenere a una corrente politica specifica, da riuscire a infilare l’argomento anche in qualcosa che non c’entra nulla con la politica stessa. È un film, è famoso, l’abbiamo recensito. Punto. Se dovete commentare, parlate del film, non di messaggi subliminali inesistenti.