7 aprile 1994: il baratro in Ruanda

di Emanuele Lo Giudice
6 Min.

29 anni fa il genocidio che scandalizzò il Ruanda e il mondo intero, quando centinaia di migliaia di persone vennero uccise a colpi di machete. Di che parliamo?

100 giorni di feroce repressione, iniziati l’indomani dell’abbattimento dell’aereo su cui viaggiava l’allora presidente hutu Habyarimana. Alla radice del genocidio vi è stato l’odio interetnico tra Hutu e Tutsi, esistente in Ruanda sin dal colonialismo francese. I primi costituivano l’80% del paese, alla guida sin dalla rivoluzione del 1959. Habyarimana aveva preso il potere nel 1973, instaurando una dittatura nella quale l’odio etnico, sociale e politica venne man mano estremizzato.

I massacri cominciarono poco dopo lo schianto dell’aereo, abbattuto da un missile terra-aria poco prima dell’atterraggio. Membri della guardia presidenziale, le forze armate ruandesi e gruppi di abitanti si riversarono per le strade delle città ruandesi. Raggruppati i Tutsi, il massacro procedeva a colpi di machete.

“E ricordiamo, con vergogna, il fallimento della comunità internazionale” ha detto oggi il Segretario Generale dell’ONU in ricordo del genocidio, ricordando l’astensionismo della comunità internazionale nei primi momenti del genocidio.

Un genocidio preparato

Sebbene inizialmente gli avvenimenti in Ruanda vennero liquidati come “affari interni”, le cose andarono diversamente. L’azione in Ruanda era pronta ormai da tempo, soprattutto considerando le importazioni di armi e di maceti (soprattutto dalla Cina) che nei mesi precedenti hanno riempito le caserme di tutto il territorio nazionale.

Le armi, i maceti, etichettati inizialmente come “strumenti degli agricoltori hutu”, erano in realtà affiancati da fucili d’assalto e altre armi di vario genere. I miliziano, organizzati a livello nazionale, avevano rappresentanti in ogni quartiere. L’idea dei membri del governo, poi confermata dinnanzi al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, era di eliminare tutti i Tutsi per “risolvere tutti i problemi del Paese”. Le stime, ad oggi, parlano di un numero di vittime comprese tra 500mila e un milione, se non di più.

Il riconoscimento avveniva tramite la carta d’identità, la quale riportava l’etnia d’origine. L’Interahamwe, la milizia paramilitare hutu, controllava con la forza la divisione etnica tra i due gruppi, emarginando i Tutsi e procedendo alla loro eliminazione. Nel caos genocidario, comunque, vi finirono come vittime anche gli hutu moderati.

Ruanda 1994 – Opération Turquoise

Criticata per i ritardi nell’intervento, l’Organizzazione delle Nazioni Unite procedette con il mandare un’Operazione solo nel giugno del 1994. La volontà di porre un freno alla violenza della guerra civile iniziata nel 1990, e al genocidio scoppiato nel 1994, portò l’ONU a schierare 2500 militari francesi, affiancati da altri 500 soldati africani. Allo spirare del mandato francese, la missione fallì, cadendo in critiche a causa della sua incapacità di fermare i massacri.

L’accusa ricaduta sulla Francia fu quella di non essere intervenuta in tempo, così come è stato per le Nazioni Unite. Già il considerare quello ruandese come “genocidio” avrebbe significato l’intervento dei caschi blu, ma così non fu. Gli Stati Uniti parlarono di genocidio solo poco prima dell’inizio dell’Opération Turquoise.

Tribunale penale internazione per il Ruanda, l’ICTR

Istituito l’8 novembre 1994 con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, il Tribunale giudicò i responsabili del genocidio commesso sia nello Stato del Ruanda che negli Stati confinanti. Nessun giudice era ruandese, mentre la presidenza era norvegese. Il tribunale ha lavorato fino al 2015, quando è stato definitivamente sciolto. Tra i condannati anche il Primo Ministro ruandese Kambanda, il quale sconta ancora oggi il proprio ergastolo in Mali. Tanti esecutori, comunque, rimasero impuniti perché scappati in paesi che non avevano trattati di estradizione con il Ruanda.

La pesantezza delle divisioni etniche sussiste, purtroppo, ancora oggi. “E onoriamo davvero la memoria di tutti i ruandesi che sono morti, costruendo un futuro di dignità, sicurezza, giustizia e diritti umani per tutti.

Fonti: LaFeltrinelli, AGI, UNRIC, L’Indro.

Scritto da Emanuele Lo Giudice


Le foto presenti in questo articolo provengono da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se un’immagine pubblicata risulta essere protetta da copyright, il legittimo proprietario può contattare lo staff scrivendo all’indirizzo email riportato nella sezione

Articoli Correlati