Con l’arresto di Matteo Messina Denaro si è tornati a parlare del 41-bis, ovvero del regime carcerario più duro in Italia: vediamo di cosa si tratta.
Matteo Messina Denaro passerà il resto della sua vita in carcere sotto il regime di 41-bis, il più duro regime penitenziario a causa di enormi privazioni della libertà. Esso è uno dei più importanti strumenti nella lotta alla mafia, ma non è esente da critiche: dai dubbi di costituzionalità, alle accuse di ledere la dignità dell’individuo.
Scopriamo cosa prevede e perché è così temuto dai mafiosi.
Come nasce il 41-bis

Il 41-bis è un articolo dell’ordinamento penitenziario introdotto nel 1986 con la legge Gozzini, che inizialmente era destinato a gestire casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza interne alle carceri.
Nel 1992 però, a seguito della strage di Capaci, nella quale perirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e tre uomini della scorta, venne esteso tramite un decreto-legge anche ai reati di mafia.
Questa norma nacque come temporanea, ma col Governo Berlusconi II essa divenne stabilmente presente nell’ordinamento penitenziario. Dal 2009 esso può essere applicato per quattro anni, con proroghe di due anni ciascuna senza un limite fisso. Infatti, l’unico modo per uscire dal 41-bis è pentirsi e collaborare con la giustizia.
Gli scopi di questo regime carcerario “duro” sono: impedire i contatti con l’esterno ai criminali ritenuti particolarmente pericolosi, convincere i mafiosi a diventare collaboratori di giustizia e sfatare l’immagine del carcere come luogo di “vacanza” per i boss mafiosi
Oltre ai reati di stampo mafioso esso può essere applicato anche ad altri delitti: terrorismo, pedopornografia, tratta di esseri umani, violenza sessuale di gruppo, traffico di stupefacenti e sequestro di persona.
Cosa prevede

Una volta entrato in carcere, il detenuto condannato al 41-bis viene immediatamente separato dagli altri detenuti: viene infatti recluso in sezioni del carcere apposite e ha a disposizione una cella singola, con due ore d’aria al giorno.
I colloqui sono molto limitati: egli ha a disposizione un solo colloquio mensile della durata di un’ora, con un vetro che lo separa dai familiari, mentre il tutto viene ripreso dalle telecamere. Nel caso il detenuto rinunciasse al colloquio, invece, ha a disposizione 10 minuti di telefonata al mese, sempre registrata dal carcere.
Queste restrizioni non si applicano tuttavia ai colloqui e alla corrispondenza con gli avvocati difensori, dopo che la Corte Costituzionale ha stabilito la loro illegittimità.
Le restrizioni colpiscono anche gli oggetti che il detenuto può possedere in cella: egli non può avere accesso né a libri né a giornali, e fino al 2018 era vietato anche cucinare in cella. Ad occuparsi della sorveglianza di questi detenuti c’è un reparto speciale della polizia penitenziaria, il quale non può entrare in contatto con gli altri agenti.
I detenuti in Italia

Secondo il rapporto dell’associazione Antigone, nel 2021 i detenuti in regime di 41-bis ammontavano a 749, di cui 13 donne. La maggior parte di essi si trova presso il carcere dell’Aquila, dove sconterà la sua pena anche Matteo Messina Denaro.
Di questi 749, 255 risultano affiliati alla camorra, 213 a Cosa Nostra e 201 alla ‘ndrangheta. Inoltre, 41 risultano associati alla mafia pugliese, 29 ad altre forme di mafia siciliana, e 3 a forme di criminalità organizzata della Basilicata.
Le critiche al 41-bis
Il 41-bis ha subito numerose critiche nel corso degli anni: da una parte c’è chi lo accusa di essere incostituzionale, dall’altra chi sostiene che sia necessario per la lotta alla criminalità organizzata.
Alcune figure, come l’avvocato Steccanella, ritengono che esso dovesse limitarsi ad essere una norma temporanea, limitata al periodo in cui la mafia stragista era un reale pericolo per lo stato:
«Il provvedimento nacque dopo l’assassinio di una figura gigantesca della lotta alla mafia come Giovanni Falcone, eppure il 41-bis è uno stupro alla civiltà giuridica, una norma che ci riporta a condizioni carcerarie medievali. Vanno applicate le pene giuste senza mai scordarsi l’obiettivo del recupero sociale del condannato. Non mi piace uno stato che estorce la collaborazione con la tortura. Inoltre è un provvedimento emergenziale, ma non si può sempre ragionare come se l’emergenza fosse perenne».
Dall’altra parte, invece, troviamo figure come il magistrato antimafia Nino Di Matteo, il quale ha dichiarato ad Adnkronos:
«Il 41-bis resta uno strumento insostituibile per un contrasto veramente efficace alle mafie (…) Deve essere applicato sempre nell’ottica della prevenzione e non in quella della ulteriore afflizione del detenuto»

Le condanne a questo regime penitenziario giungono anche dall’Unione Europea; nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, dopo aver visitato le carceri italiane, ha definito il 41-bis come il il più duro tra tutti quelli presi in considerazione durante la visita ispettiva.
Inoltre, nel 2018 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Repubblica italiana per aver rinnovato il regime di 41-bis a Bernardo Provenzano, ormai anziano e molto malato. Secondo la Corte europea, infatti, l’Italia avrebbe violato il diritto del reo a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
Scritto da Mirko Aufiero
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